- Pianificare con i territori limitrofi per il bene della comunità riaffermando una programmazione comprensoriale a lungo dimenticata.
- Contrastare la scelta unilaterale di Piombino e Campiglia che hanno deciso di rivedere i piani strutturali da soli e alla vigilia del voto.
- Superare il fallimento delle previsioni del periodo 2005-2020 vincendo lo scollamento tra pianificazione urbanistica e dinamiche reali.
- Prendere atto che la siderurgia non sarà più il motore trainante ripianificando le aree industriali dismesse in un’ottica sovracomunale.
- Tutelare coste, colline, territorio agricolo, risorse naturali e storiche sulle quali è possibile rigenerare economia, cultura e qualità della vita.
- Rivitalizzare le zone produttive (Campo alla Croce e zona stazione) avvalendosi del porto di Piombino, della ferrovia e della 398 completata.
- Riqualificare i nuclei originari di Venturina Terme e Campiglia vincendo i degradi urbani conseguenti a lottizzazioni e opere incompiute.
- Rivedere le farraginose norme dell’edilizia e dell’urbanistica che mortificano l’attività di cittadini e di imprenditori grandi e piccoli.
Per uscire dalla crisi serve una visione di futuro che vada ben oltre i confini comunali.
Chiunque comprende che per pianificare lo sviluppo agricolo, la qualificazione dell’offerta turistica, l’organizzazione delle infrastrutture e dei servizi, la valorizzazione del patrimonio culturale e naturale delle coste e delle colline, la creazione di reti escursionistiche, la tutela delle risorse del territorio e la qualità complessiva dell’ambiente in cui viviamo, si deve guardare oltre i confini dei singoli municipi. Per la sua enorme dimensione, la stessa bonifica e riconversione delle aree industriali piombinesi è un problema che travalica di gran lunga i confini di quel Comune. C’è dunque assoluto bisogno di riprendere il filo di una pianificazione unitaria che i Comuni della zona hanno totalmente smarrito da decenni.
La nostra proposta è semplice: i Comuni di Campiglia, Piombino, San Vincenzo, Suvereto e Sassetta devono tornare a pianificare insieme per il bene delle comunità che amministrano. Da questo presupposto si potrà partire per guardare alle relazioni che ci legano ai territori limitrofi delle colline Metallifere, dell’isola d’Elba e della bassa Val di Cecina. E’ esattamente l’opposto di quello che ha fatto e sta facendo l’amministrazione di Campiglia. Neppure la gravità della crisi che dura da oltre un decennio sembra aver aperto gli occhi alle amministrazioni a guida PD.
E’ cronaca di queste settimane che i Comuni della Val di Cornia stanno rivedendo i propri piani strutturali. Non lo fanno perché hanno maturato autonomamente la necessità di rivedere le precedenti pianificazioni, ma perché una legge regionale del 2014, la n.65, obbliga i Comuni entro il 2019 ad adeguare i piani urbanistici al Piano d’Indirizzo Territoriale della regione che, in Toscana, ha anche valenza di piano paesaggistico. Dovevano procedere da tempo, ma non la hanno fatto. Il Comune di Campiglia, come gli altri Comuni, ha atteso la fine della legislatura e solo ad agosto del 2018 ha avviato il procedimento per la revisione del Piano Strutturale approvato nel 2007. Sembra che ora l’amministrazione intenda adottare la variante nell’ultima seduta del Consiglio Comunale, probabilmente alla fine di marzo. Il Piano Strutturale è l’atto d’indirizzo fondamentale per la pianificazione di lungo periodo del territorio. Se lo farà dimostrerà mancanza di rispetto verso i cittadini perché le prossime elezioni potrebbero determinare maggioranze diverse da quelle attuali.
In ogni caso a questo appuntamento i Comuni vanno in ordine ancora più sparso di prima: Campiglia e Piombino si accingono ad approvare da soli una variante al Piano strutturale che nel 2007 avevano approvato insieme a Suvereto, ora espulso. Suvereto, San Vincenzo e Sassetta si sono invece associati per rivedere ciascuno il proprio Piano Strutturale. Quello che è certo è che ancora una volta non ci sarà una pianificazione unitaria della Val di Cornia. Tutto avverrà in fretta e furia, senza una reale valutazione di ciò che è accaduto nell’ultimo decennio, senza confronto con i cittadini e senza strategie organiche per il futuro. Si cercherà di trovare soluzioni a qualche pressione contingente (come già è accaduto nel 2017 con la variante per ampliare e prolungare le attività estrattive nella cava di Monte Calvi e nel 2018 per trasformare l’ex Comer in un nuovo centro commerciale) o a qualche adeguamento a vincoli imposti da leggi regionali (rischi idraulici, vincoli paesaggistici, ecc.)
Ci sarebbe stato bisogno di ben altra riflessione, a partire dalla comprensione dei clamorosi fallimenti dei Piani in vigore. Nell’arco temporale 2005-2020 il Piano Strutturale prevedeva per Campiglia i seguenti fabbisogni: 665 nuove abitazioni, 41 ettari per nuove attività produttive e servizi, 990 nuovi posti letto turistici. Lo stato di attuazione ce lo fornisce lo stesso Comune. Nell’arco temporale considerato sono stati realizzati 9 alloggi, 38 posti letto, mentre 3,9 ettari di aree produttive sono in corso di realizzazione. A crescere sono stati solo gli alloggi invenduti, i capannoni vuoti e le opere di urbanizzazione non completate.

La realtà è che vi è stato un clamoroso scollamento tra pianificazione urbanistica e dinamiche reali della società e dell’economia. Non solo è venuta meno la visione sovracomunale, ma anche la percezione di cosa stava realmente accadendo nel nostro Comune. Negli anni della crisi si è continuato a guardare alle espansioni edilizie e alle zone da urbanizzare per nuovi insediamenti produttivi. Si è continuato a sperare che il turismo potesse crescere per il solo fatto di aver aggiunto il sostantivo Terme a Venturina, senza porsi seriamente il problema di come migliorare la qualità dei servizi, di come tutelare e valorizzare le risorse naturali e storiche, di come evitare gli impatti negativi delle cave sul paesaggio collinare o usi impropri del territorio rurale.
Sono stati trascurati i centri abitati esistenti, sia nel centro storico di Campiglia che negli abitati più vecchi di Venturina. Da queste zone sono stati drenati abitanti servizi a favore delle nuove zone di espansione e dei grandi centri commerciali. Il risultato è che oggi abbiamo il borgo di Campiglia e le zone centrali di Venturina in difficoltà, mentre le nuove aree di espansione si sono trasformate in dormitori senza servizi e con basse relazioni sociali. Sono cresciuti i degradi sia per effetto della crisi che di progetti sovradimensionati come quello del Programma Integrato d’Intervento per il PEEP dell’ex campo d’aviazione e dei vecchi magazzini comunali di via Cerrini. Più in generale si è abbassata la qualità della vita urbana.
Da qui bisogna ripartire, dall’analisi degli errori e dalla definizione di una chiara strategia per il futuro, estesa all’intera Val di Cornia. Una strategia basata sulla consapevolezza che la grande industria siderurgica, la speculazione immobiliare e le cave non saranno non più i motori trainanti della nostra economia e dell’occupazione. E’ una sfida che va affrontata con coraggio e coerenza, senza abbandonare nessuno, ma facendo scelte che guardino al futuro e non ad un passato che non può tornare. Da qui bisogna partire per una nuova pianificazione territoriale.
Si dovranno difendere strenuamente le risorse territoriali sulle quali è possibile costruire la diversificazione sostenibile dell’economia. Queste risorse hanno nomi precisi: spiagge libere in contesti naturali protetti, colline da salvaguardare per i loro valori naturali e paesaggistici, siti d’interesse storico e archeologico. Sono i territori sui quali ha preso avvio il sistema dei parchi della Val di Cornia, solo in parte valorizzati e oggi anche trascurati, nonostante siano stati i presupposti per lo sviluppo e la qualificazione del turismo nella nostra zona.
A questi vanno aggiunti i territori rurali, fondamentali per le produzioni agricole e per la configurazione del paesaggio dell’intera Val di Cornia. Questi territori vanno difesi da usi impropri (cave, pannelli solari, pale eoliche, urbanizzazioni, ecc.) perché costituiscono le risorse essenziali per lo sviluppo rurale, l’agroindustria e un turismo sostenibile basato sulla valorizzazione delle risorse naturali e storiche e non sul loro consumo. Per questo è da respingere l’idea secondo la quale siccome le coste libere dei parchi attraggono oggi tanti turisti, sulla costa vanno previsti nuovi insediamenti ricettivi. Si dovrà fare esattamente l’opposto. Le coste naturali e le spiagge libere andranno meglio protette e gestite perché sono gli attrattori turistici, mentre l’offerta di accoglienza andrà diluita sull’intero territorio, nelle aree interne, privilegiando il recupero del patrimonio edilizio esistente. È anche il modo per riequilibrare il rapporto tra costa e collina, contrastando i fenomeni dell’abbandono delle aree interne. Con la stessa determinazione va respinto il proposito di fare di Campiglia e San Vincenzo il “distretto regionale della cave” destinato a distruggere Monte Calvi e far regredire il parco archeominerario di San Silvestro e il proposito di valorizzare le colline in funzione turistica.
La crisi dell’industria siderurgica è oggi un grande problema e un’opportunità.
Comunque vadano i tentativi di far ripartire la produzione siderurgica, nelle aree retroportuali di Piombino ci saranno centinaia di ettari di aree industriali dismesse. Sono aree pubbliche che, una volta bonificate, rappresenteranno uno sterminato patrimonio immobiliare su cui ricostruire servizi e attività produttive avvalendosi del porto, della ferrovia e del collegamento con la SS.398 il cui completamento resta la priorità infrastrutturale della zona. Il destino di quelle aree non è indifferente al resto dei Comuni dell’area, in particolare a Campiglia che da decenni accoglie a Campo alla Croce imprese legate al sistema portuale-industriale piombinese. Alle aree industriali dismesse si dovrà dunque guardare con un’ottica non solo siderurgica e non solo circoscritta alla città di Piombino che, peraltro, fino ad oggi ha prodotto solo lunghi anni d’inerzia e nessun risultato. Quelle aree hanno anche un valore storico e culturale non trascurabile. La rigenerazione delle aree industriali dismesse di Piombino è dunque un problema e un’opportunità per tutta la Val di Cornia e come tale i Comuni devono affrontarla insieme nella nuova pianificazione territoriale.
Il totale fallimento del Piano Strutturale e del Regolamento Urbanistico di Campiglia, che nel 2011 ipotizzava ancora la crescita smisurata di alloggi e capannoni, ci dice che quelle previsioni erano prive di fondamento e che un’epoca è definitivamente finita.
L’epoca è quella delle espansioni edilizie e del consumo di suolo, spinta più dai meccanismi della rendita immobiliare che da effettivi fabbisogni. La pianificazione dei prossimi decenni dovrà porsi problemi del tutto diversi: quello della riqualificazione dei nuclei originari di Campiglia e Venturina e quello della soluzione dei gravi degradi urbani frutto di lottizzazioni e opere pubbliche incompiute, come quella della Stazione o del Programma Integrato d’Intervento dell’ex Campo d’aviazione e di Via Cerrini.

Analoghe considerazioni valgono per il piano particolareggiato comunale per il parco termale, mai attuato e scaduto da decenni. Qui andranno concentrati gli sforzi dell’amministrazione e dei privati perché senza superamento di questi degradi sarà impossibile valorizzare la stazione di Campiglia, il parco termale, la zona centrale di Venturina, il borgo storico di Campiglia e il territorio in generale. La riqualificazione degli abitati potrà offrire nuove occasioni di lavoro per le imprese edili con adeguamenti e addizioni degli edifici esistenti, il riordino urbanistico dei quartieri più degradati, il restauro degli edifici storici e, per quanto riguarda il parco termale, nuove opportunità di potenziamento dei servizi curativi, di quelli sportivi e della ricettività turistica. Le stesse zone produttive della Monaca e di Campo alla Croce richiedono una rilettura urbanistica alla luce della crisi e delle trasformazioni produttive di questo decennio che fanno emergere nuovi problemi di degrado e bisogni di adeguamento normativo.
Tutto ciò ponendosi l’obiettivo strategico della chiarezza e del superamento della farraginosità normativa che oggi rappresenta un cancro della pubblica amministrazione, compresa quella comunale, che produce dilatazione assurda dei tempi e costi burocratici insostenibili. Due criticità che mortificano cittadini e imprenditoria privata, grande e piccola che sia, compresa quella giovanile.
Sappiamo che molto dipende dall’assurda prolificazione di enti settoriali (fenomeno da contrastare con la massima decisione), ma anche da norme comunali cavillose, inutili e spesso dannose. La nuova stagione di pianificazione dovrà assumere questo obiettivo come strategico perché la crisi si combatte con buone scelte territoriali e con norme semplici che le rendano concretamente attuabili, senza bisogno di interpretazioni pericolosamente esposte all’arbitrio.
Gruppo 2019