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LE CAVE NEL TERRITORIO

Dicembre 10, 2018
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LE CAVE NEL TERRITORIO

Cava di Monte Valerio

  • Costruire percorsi di riconversione produttiva e occupazionale per favorire l’economia circolare, il riciclo dei rifiuti, il recupero dei siti.
  • Contrastare con la massima decisione il distretto regionale cave per consentire la valorizzazione culturale e paesaggistica delle colline.
  • No all’apertura di nuove cave e ad ampliare quelle esistenti per cercare progressivamente di ridurre le escavazioni.
  • Evitare proroghe illimitate alla scadenza delle concessioni per riaffermare il concetto che il sottosuolo appartiene allo Stato.
  • Condizionare l’attività estrattiva ai ripristini ambientali per recuperare ciò che non è stato fatto ad oggi e evitare che si ripeta

Il settore estrattivo risente pesantemente della crisi economica.

Insieme all’edilizia e alla siderurgia è uno dei settori con maggiore sofferenze. Nel 2014 il piano provinciale delle cave aveva previsto nel decennio un calo della produzione del 23% e, molto probabilmente, la situazione si è ulteriormente aggravata. Anche l’occupazione è in calo e quella esistente viene mantenuta solo con il ricorso agli ammortizzatori sociali.

Se il Comune, alla fine degli anni ’90, non avesse concesso alla cava di Monte Calvi di vendere liberamente sul mercato tutto il materiale scavato (anziché circoscrivere l’utilizzo del calcare ai soli fabbisogni delle acciaierie di Piombino come previsto dalle autorizzazioni originarie) quella cava sarebbe stata chiusa nel 2014 insieme all’area a caldo dello stabilimento siderurgico.

Nonostante la liberalizzazione delle vendite, la società Cave di Campiglia, titolare di quella cava, nel 2016 ha minacciato licenziamenti e ha chiesto alla Regione Toscana l’apertura di un “tavolo di crisi”. In quella sede il Sindaco ha espresso la disponibilità a garantire la prosecuzione delle escavazioni, senza più limiti temporali, in tutte le cave presenti nel Comune e si è impegnato a modificare rapidamente la pianificazione territoriale. Cosa che ha fatto nel 2017 facendo approvare al Consiglio Comunale una variante che cambia le previsioni del Piano Strutturale approvato nel 2007.

Nel Piano Strutturale c’era scritto che l’obiettivo era quello di “ridurre le esternalità negative delle attività di cava e di miniera” su quella che allora veniva ritenuta la funzione principale delle colline campigliesi, “ovvero la tutela e il godimento dei valori naturali, delle bellezze paesaggistiche e delle testimonianze storico archeologiche”. Per questo aveva previsto “di non consentire nuove occupazioni di suolo al di fuori del perimetro dei vigenti piani di coltivazione, ma di andare verso il naturale esaurimento dei giacimenti già autorizzati di Monte Calvi e Monte Valerio”.

Il piano di Monte Calvi scadeva nel 2018 e quello di Monte Valerio nel 2020. La variante del 2017 ha eliminato le scadenze temporali per lo sfruttamento di tutte le cave, ha ampliato di circa tre ettari il perimetro della cava di Monte Calvi e ha ridotto l’obiettivo della valorizzazione del patrimonio paesaggistico e storico archeologico delle colline a mera “convivenza tra il parco di San Silvestro e le attività estrattive esistenti”. Una convivenza che da tempo ha bloccato l’ampliamento del parco (solo in parte valorizzato e addirittura ridotto rispetto al perimetro iniziale), mentre ha aggravato gli impatti ambientali sull’insieme dei territori di Monte Calvi, nonostante siano ricompresi in un Sito di Interesse Comunitario (SIC) per la tutela della biodiversità. Il tutto aggravato dal fatto, evidentissimo, dei mancati ripristini paesaggistici prescritti da leggi e convenzioni: una criticità che accomuna tutte le grandi cave presenti nel Comune.

Invece delle politiche attive di valorizzazione del patrimonio naturale e storico archeologico, e con esse le economie del turismo, hanno finito per prevalere gli interessi contingenti delle cave.La crisi del settore, anziché indurre a riflessioni sul futuro delle cave, ha indotto l’amministrazione a eliminare ogni vincolo temporale per le coltivazioni e ad ampliarne il loro perimetro che già oggi, nel Comune di Campiglia, supera i 120 ettari e consente ancora milioni di metri cubi escavazioni. Nell’ultimo decennio, con pervicacia, le amministrazioni a guida PD hanno sempre respinto le infinite richieste delle minoranze di discutere del futuro delle cave per contenere gli effetti della crisi ed evitare i ricatti occupazionali, come puntualmente avvenuto nel 2018 alla scadenza della concessione per la cava di Monte Calvi.

La situazione è tuttavia ancora più grave.

Anziché impegnarsi per la graduale riconversione di un settore in crisi e la creazione di nuove opportunità di lavoro (segnatamente il turismo e la cosiddetta economia circolare che privilegia il riciclo dei rifiuti industriali alla distruzione delle colline), l’amministrazione comunale ha avallato le scelte che altre amministrazioni a guida PD hanno già fatto e stanno facendo. La Regione Toscana sta elaborando un Piano Regionale delle Cave che individua nei Comuni di Campiglia e San Vincenzo il secondo distretto regionale delle attività estrattive dopo quello delle Alpi Apuane. Una scelta che consideriamo gravissima, in netto contrasto con tutto ciò che è stato detto, speso e fatto negli anni passati per valorizzare il patrimonio storico, archeologico e paesaggistico delle colline della Val di Cornia di cui il parco archeominerario di San Silvestro è oggi testimonianza. Un parco che può crescere ed essere meglio raccordato con le aree d’interesse paesaggistico del SIC di Monte Calvi e con i sentieri, oggi trascurati, che consentono di collegarlo con il centro storico di Campiglia e con il resto del territorio, compreso San Vincenzo.

Una scelta che le amministrazioni locali dimostrano di condividere tanto che, dopo il caso della variante di Campiglia del 2017, anche il Comune di San Vincenzo ha dato avvio alla fine del 2018 al procedimento per una variante al Piano Strutturale per la crescita delle cave.

Si tratta dell’ampliamento di 12 ettari della cava Solvay a San Carlo (che in totale raggiungerà la stratosferica superficie di 139 ettari con un aumento di 17 milioni di volumi di scavo) e della realizzazione di una nuova cava di 32 ettari sul versante nord di Monte Calvi richiesta dalla Società Cave di Campiglia per 12,8 milioni di volumi da scavare a tempo illimitato. Quest’ultima sarà collegata alla cava esistente sul versante sud del monte e agli impianti di lavorazione di Monte Rombolo.

Quello che si prefigura è l’annunciato distretto regionale delle attività estrattive di Campiglia e San Vincenzo, in gran parte arroccato sulle pendici del SIC di Monte Calvi. Tra vecchie e nuove concessioni nei due Comuni avremo 291,6 ettari di colline occupate da cave (qualcosa come 486 campi di calcio) dalle quali si potranno estrarre 49,9 milioni di metri cubi, equivalenti a circa 166.000 nuove abitazioni per una popolazione di circa 400.000 abitanti.

Si tratta di scelte che pesano sul futuro dei nostri territori.

Dal punto di vista ambientale sono destinate a consumare colline, distruggere paesaggi e alterare ulteriormente gli equilibri idrogeologici. Dal punto di vista dell’economia precludono i processi di valorizzazione culturale e paesaggistica e con esse le economie della conoscenza e del turismo legato alle identità dei territori. Vanificano infine i propositi dell’economia che si basa sul recupero e sul riciclo dei rifiuti in sostituzione di materiali vergine di cava. Un’economia che ha nei terreni inquinati del SIN di Piombino un immenso giacimento che chiede di essere bonificato per sacrosante ragioni di salute pubblica e per consentire il riuso di centinaia di ettari di terreni demaniali dello Stato oggi immobilizzati.

Le nostre proposte partono da qui, da una visione opposta del futuro.

Nessuno può trascurare l’occupazione che resta nelle cave, come non potranno essere ignorati i fabbisogni reali di specifici materiali (come il calcare) destinati ad alimentare cicli locali di lavorazione come lo è stato in passato quello dell’industria siderurgica piombinese e come è ancora oggi quello dello stabilimento chimico Solvay a Rosignano. Nello stesso tempo riteniamo un gravissimo errore connotare i nostri territori come vocati alle attività estrattive al punto tale da configurali come distretto regionale delle cave. Questa scelta è un no allo sviluppo di nuove economie, nuova occupazione e migliore qualità ambientale. Se saremo chiamati ad amministrare la nostra azione seguirà questi capisaldi fondamentali:

  • Contrastare con la massima decisione gli orientamenti della Provincia e della Regione che considerano la Val di Cornia il distretto regionale cave.
  • Evitare apertura di nuove cave e ampliamenti dei perimetri di quelle esistenti che, al contrario, vanno progressivamente ridotti.
  • Evitare proroghe generalizzate alla scadenza delle autorizzazioni, eliminando il principio che le aziende estrattive godono del diritto di escavazione a tempo illimitato. Il sottosuolo appartiene allo Stato e noi ai proprietari dei terreni.
  • Analizzare e regolare i siti di cava in relazione ai diversi utilizzi dei materiali scavati e ai differenti contesti ambientali in cui si collocano, privilegiando la tutela e la valorizzazione dei beni comuni e dei patrimoni storico-archeologici e paesaggistici. Non tutte le cave sono uguali.
  • Condizionare la prosecuzione delle attività di cava all’effettuazione dei ripristini ambientali fino ad oggi disattesi e al rigoroso rispetto dei piani di coltivazione autorizzati.
  • Costruire percorsi di riconversione produttiva e occupazionale, guardando all’economia circolare, al riciclo dei rifiuti, al recupero funzionale dei siti di cava dismessi, alla valorizzazione culturale e paesaggistica delle colline.

Se dovesse prevalere l’idea che qui si può fare il distretto regionale delle cave, saremmo respinti dentro le economie declinanti del secolo scorso e con esse verso l’inevitabile impoverimento della comunità. La nostra posizione è diversa. Parte dal presupposto che in quelle economie non potremo trovare più le risposte al bisogno crescente di lavoro. Non basta dunque difendere il lavoro che è rimasto, ma pensare a chi il lavoro lo ha già perso, non lo ha trovato e non potrà mai trovarlo nelle cave. È un percorso impegnativo, ma è l’unico che può farci sperare nel futuro.

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