- Difendere strenuamente il territorio rurale per sostenere le attività agricole, qualificare l’ambiente e il turismo.
- Vino, olio, carciofi e ortofrutta in generale sono produzioni tipiche da sviluppare con “marchi di qualità” e tecnologie.
- Pieno sostegno alla filiera del “pomodoro toscano” anche favorendo il trasloco dell’industria Petti a Campo alla Croce.
- Contrasto al lavoro nero e a forme occulte di caporalato per sostenere le imprese oneste che operano nel rispetto delle leggi.
- Migliorare l’approvvigionamento idrico nelle campagne per aumentare la quantità e la qualità delle produzioni tipiche.
- Utilizzo degli spazi fieristici per promuovere l’agricoltura. Senza dimenticare il Museo del lavoro, mai valorizzato a pieno
Il territorio rurale è una delle principali risorse di cui disponiamo: offre opportunità di lavoro diretto in agricoltura e contribuisce in modo ancora rilevante a caratterizzare il paesaggio di questa parte della Maremma.
Insieme alle produzioni tipiche e all’enogastronomia, concorre ad integrare l’offerta del turismo balneare e culturale della nostra zona. Va dunque difeso, come vanno difese e sostenute le imprese agricole che vi operano.
Come altri settori dell’economia anche l’agricoltura è chiamata da tempo a fare i conti con un mercato globale dominato da concorrenza sleale e assenza di regole a tutela del lavoro, dell’ambiente e della salute. Adeguarsi a questo modello sarebbe perdente. Anche nelle nostre zone vanno prevenuti e contrastati lavoro nero e forme occulte di caporalato. Rappresentano un serio problema per la comunità in generale e per le imprese che operano in regola con le leggi sul rapporto di lavoro dipendente nel settore agricolo.
Le sfide da vincere restano quelle della qualità dei prodotti e dei diritti di chi lavora la terra.
Per qualificare i nostri prodotti molto è stato fatto nei decenni passati, in particolare nella vitivinicoltura, ma tanto resta da fare per estendere i marchi di qualità ad altre produzioni tipiche come olio, carciofi, spinaci, meloni, grani antichi e prodotti ortofrutticoli in generale.
L’Amministrazione deve avere un ruolo chiave nella promozione di un serio progetto, condiviso con gli operatori agricoli, che miri al riconoscimento della qualità dei nostri prodotti, oggi ancora sottovalutati.
Giudichiamo molto positivo il processo recentemente avviato nei nostri territori per la creazione di un marchio di qualità del “pomodoro toscano”. E’ una strategia che richiede un’alleanza fortissima tra produttori, industria di trasformazione e grande distribuzione affinché siano garantiti quantità e qualità dei prodotti a prezzi remunerativi, in un contesto di legalità e di rispetto dei diritti del lavoro. Senza questa alleanza il marchio “pomodoro toscano” è destinato a fallire.
L’amministrazione comunale può favorire lo sviluppo di questo processo creando migliori condizioni per l’approvvigionamento idrico nelle campagne (obiettivo che interessa l’insieme delle produzioni agricole), favorendo la nascita di un moderno stabilimento per la trasformazione del pomodoro (e non solo) in sostituzione di quello di Coltie, inadeguato e da tempo inglobato nel tessuto urbano, sostenendo quel progetto nelle sedi istituzionali dove si definiscono le politiche di aiuto alle imprese locali.
Anche se tardivamente, giudichiamo positivo quanto si accingono a fare Regione, ASA e Consorzio di Bonifica per la fornitura agli agricoltori di acqua in precedenza destinata alla grande industria siderurgica.
Per la delocalizzazione dello stabilimento a Campo alla Croce, invece, nonostante il protocollo sottoscritto nel 2012 da Italian Food, Regione, Provincia, Comune e Associazioni dei produttori (prevedeva l’avvio del trasferimento nel 2014) nulla è stato fatto.
Da anni l’intera Val di Cornia è stata riconosciuta come area di crisi industriale siderurgica, ma quel progetto non ha mai trovato spazio negli infiniti Accordi di Programma sottoscritti tra Governo nazionale, Regione Toscana e Comune di Piombino per la reindustrializzazione dell’area.
Ciò è da ascriversi da un lato alla fine di ogni forma di sovracomunalità, dall’altro all’incapacità di individuare nel settore della trasformazione della nostra produzione agricola un elemento strategico per la riconversione dell’economia della Val di Cornia. Con il progetto AFERPI si è addirittura preferito dar credito a ipotesi industriali (totalmente fallite) per la trasformazione di prodotti agricoli proveniente dal nord Africa, anziché alla qualificazione e allo sviluppo delle filiere agroalimentari già esistenti nelle nostre zone. Sono stati persi anni preziosi.
Il progetto per un nuovo stabilimento di trasformazione dei prodotti ortofrutticoli, in primis il pomodoro, va dunque ripreso e sostenuto perché risponde a molti convergenti bisogni: sviluppo rurale, reindustrializzazione in settori non siderurgici e risanamento ambientale degli abitati di Coltie e Via Cerrini. La sua realizzazione non dipende dal Comune, ma non vi è dubbio che le amministrazioni precedenti non hanno brillato per interessamento. Si sono affidate alla speculazione immobiliare sui terreni dell’attuale stabilimento di Coltie per creare vantaggi economici all’Italian Food, ma, com’era sin troppo prevedibile, nulla di quanto previsto si è verificato. Per il resto le amministrazioni sono state silenti e subalterne.
Non ci nascondiamo le difficoltà, ma per tentare di far decollare questa ed altre filiere agroindustriali (concretamente possibili nella nostra zona) occorre ben altra determinazione politica, a partire da una visione sovracomunale dei problemi e dall’inserimento di questo comparto produttivo, a pieno titolo, tra le strategie e gli Accordi istituzionali per la riconversione economica della Val di Cornia. Così non è stato fino ad oggi.
Il Comune ha competenze proprie per sostenere l’agricoltura.
Tra queste le politiche urbanistiche per la tutela delle campagne da mire e spinte speculative. Anche in questo campo la nostra amministrazione è apparsa molto vulnerabile. Basti ricordare che il Piano Strutturale approvato nel 2007 prevede la “congiunzione” della zona industriale di Campo alla Croce con quella di Montegemoli nel Comune di Piombino. Una previsione assurda, scellerata, che immaginava entro il 2020 la distruzione di centinaia di ettari di campi per far posto a capannoni e impianti industriali. Quella decisione, per il bene della comunità, va semplicemente cancellata dalla pianificazione. Così come deve essere avviato un lavoro rigoroso per la semplificazione delle regole e delle procedure urbanistico-edilizieanche in questo settore.
Bisogna avere contezza del fatto che tempi e costi della burocrazia rappresentano oggi impedimenti sostanziali per le imprese che intendono investire in agricoltura. Non ce lo possiamo permettere. Pur nel quadro caotico della legislazione nazionale e regionale, se saremo chiamati ad amministrare ci impegneremo da un lato per la difesa del territorio rurale, dall’altro per la semplificazione amministrativa. Chi fa agricoltura non specula sulle trasformazioni dei terreni e deve essere messo nelle condizioni di lavorare con norme semplice e chiare. Riteniamo infatti una reale ricchezza per il territorio ogni intervento di qualificazione aziendale intrapreso dai nostri agricoltori.
Le speculazioni edilizie da respingere sono quelle che sottraggono suolo all’agricoltura snaturando la funzione del territorio. Un laboratorio, un magazzino, un frantoio aziendale, sono investimenti produttivi che qualificano la nostra offerta agricola e che devono trovare da parte dell’amministrazione ogni tipo di incentivo anziché una serie di ostacoli burocratici da superare.
Il Comune può inoltre svolgere un ruolo più attivo sia per incentivare l’adozione di tecniche agricole più competitive, sia per richiedere l’elaborazione di bandi regionali che non taglino fuori Campiglia e la Val di Cornia dagli incentivi previsti per il settore.
Il sistema dei PSR e PIF, sebbene non eroghino più la mole dei finanziamenti di alcuni anni fa, resta fondamentale il sostegno dei pochi investimenti possibili in un periodo di crisi. Ad oggi alcuni bandi per i finanziamenti dei PSR penalizzano in modo incomprensibile questo territorio privandolo di possibilità concrete per l’ammodernamento degli impianti e per l’efficientamento sull’uso delle risorse. Il caso recente del bando sui finanziamenti per l’efficientamento dei sistemi di irrigazione è un esempio molto significativo. Così come dovrà riprendere una politica attiva nei confronti della Regione perché al nostro territorio, che vanta una fortissima produzione ortofrutticola, siano destinate le risorse necessarie a qualificare e potenziare il settore.
Il Comune deve inoltre intensificare gli sforzi per reperire risorse proprie di bilancio per studi e iniziative a sostegno dello sviluppo rurale. Nel bilancio di previsione per l’anno 2019 l’amministrazione in carica ha stanziato per l’agricoltura 6.520 euro su un bilancio di 13 milioni: una somma insignificante che denota l’assenza di visione e di progettualità.
Un contributo per il rilancio del settore agricolo potrebbe venire anche dalla migliore utilizzazione dell’area fieristica, in origine legata alle tradizioni agricole della zona e oggi sostanzialmente inutilizzata, compresa l’assurda immobilizzazione del patrimonio culturale del Museo del Lavoro.
Dopo il fallimento della CE.VAL.CO (società partecipata da tutti i Comuni della zona, da altri enti e dai privati), la decisione di affidare la gestione del complesso fieristico ad una società del solo Comune di Campiglia (la SEFI, che peraltro si occupa di gestire anche la farmacia comunale), non ha certo favorito la messa a punto di nuove strategie.
Un’area fieristica ha senso solo se corrisponde a bisogni reali delle imprese, comprese quelle agricole, che operano in un ambito ben più vasto di quello comunale. Anche in questo caso la regressione nel municipalismo ha impedito al Comune di Campiglia di svolgere un ruolo attivo nel contrasto della crisi dell’intera zona.
Se saremo chiamati ad amministrare apriremo un confronto per valutare quali sbocchi possa avere un patrimonio immobiliare fieristico che oggi costituisce un costo per il bilancio comunale (circa 300.000 euro annui) senza restituire benefici significativi alla comunità.
Gruppo 2019