«NON SI DÀ alcun peso al danno economico derivante dalla distruzione del paesaggio e la conseguente impossibilità di sviluppare altre attività legate al paesaggio». A sostenerlo è il Comitato per Campiglia che interviene nel dibattito sulle cave.
«Il problema è rappresentato dal fatto che la legge è estremamente settoriale e non prende minimamente in considerazione le ricadute che le cave e miniere a cielo aperto possono avere sulle altre attività di zona, in particolare sul turismo e sulla agricoltura, settori questi in crescita nella Val di Cornia e che negli ultimi anni hanno prodotto un incremento notevole di occupazione.
AL CONTRARIO nelle cave e miniere non risultano crescite di assunzioni (45 persone nelle cave di Campiglia, 45 nella Miniera di Botro ai marmi e Montorsi e forse altrettanti nella cava di Monte Valerio dato che le 10 società del gruppo Sales sparse nella Toscana e alto Lazio occupano in tutto 223 persone). Un turismo qualificato come quello oggi non può essere promosso in aree dove le emergenze maggiori a colpo d’occhio sono gigantesche cave e miniere a cielo. Anche nella corresponsione di contributi da parte di chi ha concessioni di coltivazione il valore viene definito dalla Regione solo in base ai presunti costi di manutenzione delle infrastrutture, ai costi burocratici relativi al rilascio delle concessioni e ai costi relativi alla sorveglianza del rispetto delle convenzioni.
IN PRATICA non si dà alcun peso al danno economico derivante dalla distruzione del paesaggio e la conseguente impossibilità di sviluppare altre attività legate al paesaggio. Una diversa quantificazione dei contributi, permetterebbe a Campiglia di incassare ogni anno da qui al 20218/2020, da 9.000.000 a 16.000.000 euro e di conseguenza promuovere attività lavorative in grado di assorbire non solo le maestranze delle cave e miniere il cui lavoro cesserà con la fine delle concessioni, ma di attivare altri posti di lavoro».
La Nazione 13.11.2012