Alle 19 le luci di negozi ed abitazioni si spegneranno e piazza Verdi si illuminerà per dieci minuti con migliaia di piccoli luci. «Se si fermano le fabbriche si spegne la città e solo il lavoro può riaccenderla». È questo il significato simbolico che i sindacati hanno voluto dare all’ultima parte della manifestazione di oggi. Ancora una volta in piazza per difendere la siderurgia. I lavoratori delle industrie piombinesi e delle imprese scenderanno in sciopero per tre ore, dalla 17 alle 20, per dare vita alla manifestazione interprovinciale, che i sindacati hanno preparato in questi giorni diffondendo volantini in tutti i paese limitrofi delle province di Livorno, Grosseto e Pisa.
Il concentramento è previsto alle 17 in largo Caduti del lavoro (cavalcavia Lucchini). Il corteo sfilerà per le via della città per concludersi in piazza Verdi dove prenderanno la parola i segretari della Uilm Vincenzo Renda e della Fiom Luciano Gabrielli, Concluderà il segretario regionale della Cisl Riccardo Cerza. Alla manifestazione sarà presente anche il sindaco Gianni Anselmi. E anche gli studenti della superiori stamani si mobiliteranno sotto lo slogan “Per una Val di Cornia retta dalla nostra industria”. Alle 8 si raduneranno davanti al liceo in via della Pace per raggiungere poi in corteo il centro cittadino.
I sindacati hanno puntato molto sulla manifestazione di oggi. Il loro obiettivo è portare in piazza 5-7mila persone. Numerose le adesioni giunte in questi giorni, a cominciare da Cna, Confesercenti, Confcommercio e da quasi tutte le forze politiche. Già da giorni sulle vetrine dei negozi è stato affisso un volantino “Chiusi oggi per non chiudere per sempre”. Ieri pomeriggio anche la banda cittadina Galantara ha voluto portare il suo contributo alla manifestazione facendo una uscita in corso Italia. Mirko Lami, coordinatore delle Rsu Lucchini ha invitato i cittadini a partecipare oggi al corteo.
Per le vicende Lucchini questa potrebbe essere la settimana decisiva. Il Cda ha infatti rifiutato l’ipotesi del commissariamento per andare a scoprire l’offerta che il Fondo Klesch si è impegnato a fare entro il mese. Un piano, quello degli svizzeri che, per quel che è trapelato, non piace né ai sindacati né al sindaco Anselmi, che nei giorni scorsi ha auspicare un intervento dello Stato sul caso Piombino e sulla siderurgia nazionale.(g.p.)
Il Tirreno 19.11.2012
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Il Vecchio acciaio e le nuove prospettive (Tratto da StileLiberoNews.org)
Sembrava un’autostrada di quelle che portano a mete lontane e su cui si viaggia rilassati. Per anni neanche il dubbio che le quattro immense corsie potessero sfociare in un sentiero, che si potessero incontrare curve pericolose col rischio perfino di imbatterci nell’estremo cartello: “strada senza sfondo”. La siderurgia del resto fa parte della storia della Val di Cornia. La cultura del ferro è patrimonio tramandato di generazione in generazione per secoli. I governi, i partiti, i sindacati, per decenni, non sono stati nemmeno sfiorati dal pensiero che, accanto al pane “sicuro” della grande fabbrica, ce ne potessero essere anche altri. Magari più faticosi da conquistare, magari, al momento, meno redditizi.
Eppure perfino la natura è stata generosa con noi. Ma quei doni meravigliosi troppo a lungo non sono stati apprezzati: un clima mite, una terra generosa e ricca di corsi d’acqua, panorami stupendi da offrire a ospiti e visitatori, acque calde già amate e sfruttate da popoli antichi, arte e cultura tramandata da padri impareggiabili. L’acciaio, nell’ultimo secolo, è stato il progresso, la molla del grande sviluppo, l’occasione per entrare a buon diritto nelle stanze dei padroni del vapore. Anche la scienza ha cavalcato l’onda propizia e si è impegnata a sfornare sempre nuove tecnologie.
Così Piombino, un passo avanti a tutti, ha usato, sperimentato, valorizzato come non altri i nuovi metodi ottenendo produzioni più moderne e più perfette. Nel 1865 quando nacquero “La Magona” e la “Ferriera Perseveranza” erano i detenuti del penitenziario ad alimentare il nuovo convertitore Bessemer. Ma a fine secolo la fabbrica, sotto le insegne della nuova società “Altoforni e Fonderie di Piombino”, contava già 2500 dipendenti e Piombino veniva ormai riconosciuto come il più grande centro industriale del Paese a ciclo integrale. Un complesso attivo e organizzato, capace di recitare un ruolo determinante nella produzione bellica del primo conflitto mondiale così come determinante era stato il suo apporto nella creazione della rete ferroviaria in cui l’Italia si era impegnata all’alba del nuovo secolo. Successi cavalcati dal fascismo attraverso l’Iri, opportunità colte dalla nuova Repubblica dopo la ricostruzione che seguì agli anni terribili della seconda guerra mondiale quando l’ottanta per cento degli impianti venne ridotto ad un cumulo di macerie.
Il successo, che portò benessere, fece perfino dimenticare le conseguenze che dovevano poi emergere in tutta la loro gravità: intere zone sommerse da un inquinamento pesante, centinaia di artigiani sottratti alle loro piccole aziende dal miraggio del posto eterno in fabbrica. E più grave, in quegli anni, fu la sottovalutazione di fenomeni appena abbozzati ma che dovevano sconvolgere l’economia del Paese e più ancora del mondo. L’impegno massiccio ed incontrollato delle Partecipazioni statali, la miopia di politici, amministratori e sindacalisti, un’ incredibile girandola di sigle, di azionisti di manager hanno caratterizzato gli anni recenti, quelli nei quali a Piombino si è scelto di insistere solo su modelli che avevano pagato ma che ormai davano solo frutti modesti. Quelli in cui il triste fenomeno dei prepensionati cinquantenni era vissuto come una conseguenza fisiologica, quelli dove ogni altra innovazione, ogni altra volontà di fare veniva trattata con indifferenza, a volte con fastidio. Così come con fastidio si sono viste negli anni più recenti realizzazioni innovative, ad esempio nei beni culturali e naturali, che in ogni caso si erano imposte positivamente nel passato.
Certo la vocazione siderurgia piombinese non può morire e l’acciaio dovrà comunque avere un ruolo. Lontano dai 10mila dipendenti di un tempo ma comunque attivo. Ma l’impegno dovrà andare anche ad altro. A ciò che si è dimenticato pur avendolo a disposizione, a ciò che le esigenze del mondo moderno chiedono, a ciò che la rivoluzione tecnologica ci offre come opportunità possibile. Insistere per nuovi compratori, per nuove soluzioni, per nuove prospettive è scontato e doveroso, anche se fino ad oggi colpevolmente nient’affatto praticato con razionalità, coerenza e realismo. Impegnarsi, peraltro con immane ritardo, per affiancare economie alternative alla siderurgia e all’industria non è più rinviabile.
Fiorenzo Bucci
StileLiberoNews.org