Ìn marcia con i lavoratori sulla Variante Aurelia, poi il sindaco Gianni Anselmi è salito in macchina per essere puntuale alle 15 all’appuntamento strappato al ministero dello Sviluppo economico martedì sera, mentre stava ancora sul capannone della Lucchini su cui era salito. Con lui l’assessore regionale al Lavoro Gianfranco Simoncini. Si sono incontrati con il direttore generale del ministero Andrea Bianchi. Un colloquio di un’ora e mezzo per arrivare ad alcuni impegni operativi.
Dopo aver sottolineato la necessità di focalizzare l’attenzione anche sul caso Magona, il confronto è entrato nel vivo della più stretta emergenza: salvare la Lucchini da un possibile, imminente, default finanziario e assicurate la continuità produttiva e l’occupazione. «Ho chiesto – spiega Anselmi – un protagonismo dello Stato che si prenda carico delle vicenda Lucchini. Non serve privilegiare il galleggiamento, ma una soluzione industriale che dia una prospettiva di medio e lungo periodo allo stabilimento, sottraendola dal peso della finanza e del mercato». Ipotesi che sembra aprire la strada ad un commissariamento della Lucchini. «Serve – sostiene Anselmi – una guida pubblica che faccia emergere l’interesse generale per assicurare la continuità produttiva del polo siderurgico». Il sindaco non nasconde che la soluzione possa arrivare da un commissario del governo, ipotesi del resto da alcuni sostenuta ben prima del precipitare dell’attuale crisi finanziaria. Il ministero si sarebbe impegnato ad avviare un percorso esplorativo sulle procedure da mettere in campo, nel giro di pochi giorni, coinvolgendo l’azienda nella ricerca di soluzioni industriali, oltre che finanziarie.
Ma c’è anche un impegno del ministero ad inserire Piombino tra le aree di crisi complessa, per le quali sono previsti interventi diretti del governo in base alla recente “legge sviluppo. «A breve – dice Anselmi – si aprirà un tavolo su Piombino per affrontare i temi delle bonifiche delle infrastrutture e del rilancio competitivo del nostro territorio. Il direttore del ministero dell’Ambiente Maurizio Pernici ha per questo fissato per il 16 un incontro con la Regione». Gli stessi obiettivi rilanciati ieri con forza dai sindacati con la massiccia manifestazione lungo la Variante Aurelia. Tremila lavoratori si sono ritrovati a Venturina per dar vita ad un lungo corteo che ha paralizzato per circa un’ora il traffico sulla superstrada, deviato dalla forze dell’ordine sulla Vecchia Aurelia dove si sono verificati i veri rallentamenti. Tremila persone a gridare lo stesso slogan del luglio scorso: «Lavoro, lavoro!».
È stata sicuramente la manifestazione più forte di questi ultimi tempi, compatta ma anche ricca di tensioni sul finale, quando il corteo si è staccato in due tronconi, uno più grosso che verso le 11 stava già tornando verso i pullman per rientrare in fabbrica, e un altro che invece voleva prolungare il blocco della strada. Accuse gridate in faccia ai sindacalisti, mentre la tensione saliva sempre di più, con il corteo stretto dall’inizio alla coda da un gruppo di almeno 400 poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa e pronti nel caso ad intervenire. Alla fine una parola magica “assemblea” ha placato gli animi e la manifestazione si è conclusa come era iniziata: una prova di forza e di responsabilità dei lavoratori.
Giorgio Pasquinucci
Il Tirreno 11.10.2012
Bellini invita a imitare l’Emilia: ripartire dalla cultura siderurgica per sviluppare nuove aziende
L’altoforno che svetta, ormai inutile, sullo sfondo del mare. Niente fumi dalle ciminiere. Piombino senza le sue acciaierie, uno scenario da catastrofe al quale non crede il professor Nicola Bellini, docente di economia alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e fra i coordinatori del Progetto Val di Cornia, voluto dai Comuni della zona per individuare scenari alternativi a quella che è tuttora la monocultura della siderurgia. «Non credo che a breve ci possa essere un’opzione zero per le fabbriche piombinesi – dice Bellini – è invece verosimile che si vada a una diminuzione graduale, anche molto forte, dell’economia basata sulle acciaierie così come sono oggi.
Questo però non significa la rinuncia totale alla siderurgia. Semmai bisogna chiedersi quale siderurgia vogliamo per il futuro» E quale siderurgia si può ipotizzare per il futuro di Piombino? «La domanda dovrebbe essere: vogliamo una siderurgia italiana o non la vogliamo più? E questa domanda, trovando anche la risposta, dovrebbe farsela il governo. Insomma, a Piombino come all’Italia serve una politica industriale. Ora l’incertezza frena tutto». Ma il governo che tipo di scelte dovrebbe fare? «In questa fase qualsiasi decisione può andare bene, purché ci sia. L’incertezza è la cosa più penalizzante. Se si immagina di individuare una parte della siderurgia piombinese per produzioni di qualità e alto valore, qualcuno può decidere di investire, ma deve interfacciarsi con i livelli istituzionali.
Il governo dovrebbe dire: questo è il tipo di industria che vogliamo e lo sosteniamo; oppure, no, non ci interessa e mettiamo in campo altro. Ma queste scelte non possono essere fatte a Mosca o da un giudice come a Taranto, le deve fare il governo». Questo può valere anche per altre situazioni critiche vicine, come la raffineria di Livorno o il comparto metalmeccanico apuano? «La situazione di incertezza è simile in tutta la Toscana, in tutta Italia. La domanda è sempre la stessa: che industria vogliamo avere? Le decisioni non si stanno prendendo a Roma, ma mi pare che ci sia confusione anche a Firenze. Molti Paesi, invece, stanno già portando avanti politiche industriali attive e aggressive. La crisi serve anche a questo, è un’opportunità di trasformazione e di riposizionamento. Se la si coglie, alla fine della crisi si è in pista, altrimenti qualcuno ci sarà passato avanti».
Voi del Sant’Anna state cercando per la Val di Cornia economie alternative a quella siderurgica. Che scenari si possono immaginare? «La Val di Cornia è un po’ l’Italia in miniatura, ci sono rappresentati quasi tutti i settori economici, e ci sono in scala le stesse caratteristiche e problematiche nazionali. Il denominatore comune degli scenari futuri, in tutti i settori, deve essere la qualità, e quindi tecnologia, ricerca, intelligenza. Perciò turismo moderno, non di massa, destagionalizzato. Non si può pensare che l’alternativa sia affittare ombrelloni. Lo stesso per l’agricoltura; serve un modello avanzato, tipo il modello Bolgheri che puntando su tecnologia e ricerca è riuscito ad attrarre investimenti importanti.
Qualcosa, penso a Suvereto, si sta muovendo, ma c’è ancora molto da fare. Poi c’è il porto, che è una grande opportunità da giocare. E c’è quell’altra Piombino che non è siderurgia; c’è una mentalità imprenditoriale vispa, risorse di intelligenza, cultura manifatturiera: bisogna darle voce. Pensando a un modello già esistente a quale ci si potrebbe ispirare? «Piombino si candida naturalmente per la ricerca di tipo industriale e per i servizi avanzati.
Penso al modello emiliano basato sulla meccanica, una diffusa conoscenza fin dal dopoguerra che ha saputo declinarsi in decine di modi diversi, dal biomedicale alla robotica, dalla Ferrari alla macchina per inscatolare i pomodori. Piombino ha una conoscenza siderurgica unica che combinata con altri settori e supportata dalla ricerca può attrarre investimenti e lavorare sulle tecnologie di utilizzo, sulle applicazioni, piuttosto che sulla produzione. Insomma, si può attivare un processo di scoperta imprenditoriale basandosi sui punti fermi già esistenti».
Nicola Stefanini
Il Tirreno 11.10.2012
In tremila sulla Variante per difendere il lavoro
Duemila per la Questura, almeno tremila per i sindacati. La risposta che ieri mattina i lavoratori metalmeccanici, ma anche commercianti, artigiano hanno dato alla crisi drammatica che sta attanagliando le grandi industrie piombinesi è stata massiccia. I primi sono arrivati in auto, in moto e persino in bicicletta dal centro di Venturina. Si sono radunati nel piazzale vicino al cavalcavia di via Cerrini, vicino alla stazione e alla Variante Aurelia, i possibili obiettivi di una nuova azione eclatante.
Massiccio anche lo spiegamento di polizia e carabinieri. Il grosso dei lavoratori è arrivato poco dopo con i pullman, partiti dalla portinerie delle Lucchini, della Magona e della Dalmine. Al ritmo scandito da improvvisati tamburi di latta, il lungo corteo si è avviato a passo lento verso la Variante Aurelia. Tutto è ripreso da dove era stato lasciato nell’ultima manifestazione del luglio scorso al grido di «lavoro, lavoro!». Sulla rampa dello svincolo della quattro corsie i primi Tir e auto ferme. Dall’altoparlante montato sulla macchina dei sindacati i ripetuti slogan che hanno caratterizzato la manifestazione: «Siamo qui per salvare l’industria e l’economia del territorio dal declino».
Ad aprire il corteo gli striscioni delle Rsu Lucchini e della Magona. Ma c’erano anche i lavoratori della Dalmine, dell’Enel, della Sol e delle tante piccole imprese dell’indotto, ancora una volta le prime a fare le spese della crisi. Presenti con la fascia tricolore i sindaci di Piombino Anselmi, di Campiglia Soffritti, di San Vincenzo Biagi, di Suvereto Pioli, di Castagneto Tinti, una delegazione degli amministratori di Follonica, l’onorevole Silvia Velo e il consigliere regionale del Pd Tortolini . C’erano anche i segretari del Pd Fabiani, dell’Udc Coppola, Benifei di Sel, Favilli del Prc, Pedroni del Pdci, il vicepresidente del consiglio comunale Sironi a rappresentare il Pdl e molti altri immersi in una folla di tute blu e verdi e tra i tanti colori delle bandiere dei sindacati. Di tanti colori come gli slogan, gridati a piena voce dai lavoratori con fantasia ma più spesso con rabbia.
La rabbia di tanta gente che sa di poter perdere il lavoro, che in Lucchini e Magona già è costretta ai contratti di solidarietà (che non possono durare più di un anno) a causa della chiusura di impianti e del restringimento delle produzioni. Il corteo ha imboccato lentamente la corsia in direzione di San Vincenzo, poi dopo un paio di chilometri, gruppi di lavoratori hanno cominciato a saltare il guardrail per invadere l’altra corsia. Ma il traffico degli automezzi era deviato dalle forze dell’ordine sulla vecchia Aurelia, dove si sono verificati i veri intasamenti. Per circa un’ora i lavoratori sono rimasti sulla sede stradale. Poi, al momento di dirigersi verso i pullman che li aspettavano per riportarli in fabbrica, i veri momenti di tensione. Il corteo si è fermato, per alcuni lunghi minuti è sembrato che tutti si rifiutassero di proseguire. Poi una parte, convinta dopo accese discussioni dai sindacalisti, si è staccata. Ma altri, 200-300, sono rimasti lì.
Alcuni rimproveravano al sindacato di non aver fermato tutto lo stabilimento, mantenendo in funzione gli impianti a caldo. Chiara la risposta concitata di Mirko Lami, coordinatore della Fiom nella Rsu Lucchini: «L’altoforno non lo fermiamo perché è la vita dello stabilimento e la nostra garanzia». Un gran daffare per tutti i sindacalisti: Lorenzo Fusco, Vincenzo Renda, ma soprattutto per il segretario della Fiom Luciano Gabrielli, impegnato in vivacissime discussioni in decine di capannelli, mentre già alcuni gridavano «stazione, stazione!», indicando come obiettivo il blocco dei binari .
Dure le accuse dei più arrabbiati contro il sindacato: reazione tardiva, sciopero troppo breve, tesi ovviamente sostenute anche con parole pesanti. Volevano restare lì, magari anche tutta la notte. Ma il tempo scorreva e stava per scadere. Col corteo almeno 400 tra poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa pronti ad intervenire. Qualcuno è andato a parlamentare, a cercare di prendere tempo prima che accadesse il peggio. “Assemblea” è stata a parola che alla fine, dopo animati contrasti, è riuscita a sbloccare la pericolosa situazione e a consentire alla manifestazione di concludersi come una grande prova di forza e al tempo stesso di responsabilità.
Giorgio Pasquinucci
Il Tirreno 11.10.2012
Allarme rosso, ma la città sembra tiepida
Si temono, ma fino a un certo punto, terribili effetti dalla chiusura delle fabbriche. Almeno tra la gente. La città è piccola, tutti conoscono bene la vita e i consumi degli altri. C’è chi si è meravigliato, facendo la fila alla posta, di vedere lo stesso numero di cacciatori (o di più?) pagare bollettini da 360 euro in sù, da assommare alle molte altre spese per questo sport. Come se dietro a “una povertà lamentata” ci sia dell’altro: dal lavoro nero a familiari che aiutano. Stonano l’iPhone 5, il Suv d’ultimo grido. Lo si sente dire al bar, lo si legge su facebook dove martedì è corsa voce di trovarsi tutti davanti alla portineria Lucchini – mentre c’era il sindaco sul tetto del capannone – ma poi, a parte la pioggia di mi piace, non si è mobilitato nessuno.
Una valutazione realistica della crisi della siderurgia arriva invece dalle associazioni di categoria. Il quadro. «Se chiudesse l’acciaieria? – dice il direttore dell’ufficio Confcommercio Alessandro Baldi – all’inizio sarebbe un dramma, anche psicologico. L’industria è nel tessuto storico della zona. Cosa resta, se nel frattempo non è stata creata alternativa? Ma qui, a partire dalle bonifiche, difficilmente troveremo qualcuno che possa investire. Il futuro e quello che si poteva fare prima sono argomento per convegni, ora bisogna confrontarsi con quanto accade». Addio servizi. «Situazione già critica – interviene l’avvocato Antonio Marta, che è stato presidente dell’Associazione forense di Piombino fino al settembre scorso – visti i provvedimenti del governo che hanno tagliato la sezione distaccata del tribunale e il giudice di pace.
Un bel colpo per la Val di Cornia, taglio ai servizi per i cittadini che dovranno sempre più rivolgersi agli uffici di Livorno visto ci saranno ulteriori riduzioni di personale per Agenzia delle entrate, Inps e Inail. Se ci mettiamo anche la chiusura del polo industriale che sostiene ancora molte famiglie, allora la città sì che diventerà un sobborgo e tanti se ne andranno. Senza un’alternativa alla chiusura, si seppellirà Piombino». Tessuto economico. «La percezione di una situazione estremamente pesante è chiara – spiega Adeanna Grilli, responsabile di zona Confesercenti del Tirreno – Il tessuto economico ha uno stretto legame con gli oltre 5mila posti di lavoro occupati. In tanti ci telefonano e si informano. Se non si riesce a vincere questa battaglia, il territorio non ce la farà ad andare avanti. Pure il cambiamento del volto della città – sottolinea – l’aumento delle strutture ricettive, hanno un legame indissolubile con la fabbrica che deve essere ambientalmente compatibile, ma stretta a Piombino. Altrimenti ci sarà la chiusura a catena di tante altre attività». Artigiani preoccupati. «Si teme il peggio – afferma per la Cna, Manuela Minelli – nelle imprese, anche in quelle che non hanno niente a che vedere col ciclo siderurgico. Perché gran parte del Pil viene dalla fabbrica comunque. Tra gli artigiani c’è paura, perplessità, e non da oggi, per questo territorio. La città è nata intorno all’acciaieria e anche tutti gli altri settori divesificati sono in qualche modo collegati al reddito che principalmente viene proprio da qui».
Non solo piombinesi. Battute brevi, grande preoccupazione soprattutto dagli anziani che “dentro” hanno trascorso un bel pezzo di vita, quando la fabbrica dava di che vivere a qualcosa come 17mila persone. Se ne sentono tante al Bricc’o Bar di piazza Berlinguer. Qui la mattina passa spessissimo, prima di andare a Livorno, il presidente – piombinese – della Camera di commercio Roberto Nardi: «Nessuno dei miei familiari ha mai lavorato in Lucchini – racconta – a parte mio nonno per un po’ di anni, ma in Magona. Resta il fatto che l’economia cittadina si basa, in modo consistente, comunque sulla fabbrica. Una bella fetta sono rendite di pensione, che durerà quanto l’aspettativa di vita, considerevole entrata del Pil oltre agli stipendi che restano migliaia, comprese le aziende dell’indotto con sede fuori città. La perdita netta? Sarebbe forte. Da considerare poi – afferma – la nuova immigrazione proveniente anche da altre province e regioni italiane che procederebbe a ritroso ». Consumi. Vada per un po’ d’ansia – se però l’iPhone o l’iPad ci può comunque stare – ma nel carrello della spesa? «Dalla metà di settembre – dice Paolo Bertini, responsabile delle relazioni esterne di Unicoop Tirreno – si fanno i conti con i residenti. Percepibile la preoccupazione per la chiusura degli impianti.
Gli impatti sui consumi? Difficile da dire, ma la consapevolezza c’è e in molti anche la paura per una situazione non chiara, che perdura nel tempo. Nel settore vendite conta molto quanti soldi hai nel portafoglio e la fiducia che hai nel futuro. Chiaro che, venendo dalla fabbrica oltre il 50% del reddito, la chiusura sarebbe devastante per tutti». Via mare. Se salta la filiera dell’acciaio difficile sarebbe prevedere pure uno scenario per il porto di Piombino, dal punto di vista commerciale. Per altre tipologie di merce ci vorrebbe diversa preparazione, oltre a tariffe e produttività tutte da rivedere.
Cecilia Cecchi
Il Tirreno 11.10.2012