«Appena il 4,2% del territorio toscano coperto da cemento». Il dato dietro cui amava ripararsi l’ex assessore regionale all’urbanistica Riccardo Conti, in risposta alle critiche provenienti da quanti lui stesso definiva come “retrogadi difensori di una Toscana da cartolina”, adesso viene demolito dai risultati di una nuova analisi realizzata dall’ufficio tecnico dell’assessorato regionale all’urbanistica targato Anna Marson.
La Toscana coperta di cemento non è il 4,2% del totale della superficie bensì il 9,11% – come ha detto l’assessore Marson. La provincie più cementificate risultano Prato e Livorno (12% del territorio). Un ettaro ogni dieci è urbanizzato. La precedente elaborazione, basata su immagini satellitari del progetto europeo Corine Land Rover, che prevedeva una superficie minima delle celle su cui poter calcolare la presenza di cemento pari a 25 ettari ciascuna, aveva escluso infatti tutte le costruzioni isolate. Adesso ci sono i mezzi per fare una rilevazione più precisa. Ed è quello che ha fatto la Regione grazie a una convenzione con Agea, l’agenzia governativa per le erogazioni in agricoltura: la superficie minima cartografabile scende da 25 a 4 ettari per cella. «Le fotografie – ha spiegato l’assessore – di maggior dettaglio hanno portato a un ribaltamento della precedente immagine spesso utilizzata per dire come la Toscana risultasse fra le regioni più virtuose d’Italia». Tradotto in termini assoluti, risultano così cementificati 209 mila 476 ettari di territorio su un totale di 2 milioni 300 mila ettari di superficie complessiva regionale. Numeri che ben testimoniano l’avanzata di cemento, che, nonostante una popolazione resa stabile soltanto dal flusso migratorio, è proceduta a tappe forzate nel corso degli ultimi anni.
Il nuovo “Rapporto sul Territorio”, presentato giovedì scorso dall’Irpet, offre poi bene l’idea di come questa colata sia tutt’altro che prossima dal ritenersi conclusa: dando un’occhiata alle percentuali di consumo dei metri quadri edificabili presenti all’interno dei regolamenti urbanistici, i piani che aggiornano ogni cinque anni le previsioni di crescita edilizia all’interno delle singoli realtà comunali, si scopre infatti ci sono amministrazioni comunali veloci come il vento a costruire: tanto per fare alcuni esempi, i Comuni di Chiesina Uzzanese e Calci hanno già autorizzato il consumo del 100% dei metri quadri edificabili previsti dai rispettivi piani strutturali. Leggermente inferiore la percentuale di autorizzazioni prevista a Fauglia, in provincia di Pisa, ferma al 96,5% dei metri quadri complessivamente edificabili. La Toscana, vista dall’alto, si scopre un po’ più grigia.
Gabriele Firmani
Il Tirreno 01.04.2012
I Comuni schiavi del mattone
Non è accettabile che il Comune sia l’arbitro ultimo del paesaggio urbano e non. Il professor Salvatore Settis, già direttore della Scuola Normale di Pisa, chiede di rivedere la legge 1. Professore, c’è un piano della Regione per demolire gli edifici abusivi. Finalmente, viene da dire. «La stagione in cui si pensava che l’edilizia selvaggia fosse il principale motore dell’economia è finita. La crisi economica mondiale è la conseguenza della “bolla immobiliare” americana, e solo gli sciocchi possono credere che la “bolla immobiliare” nostrana debba, per misteriose ragioni, avere in Italia effetti positivi. Se la Toscana vorrà essere, come io spero, la regione italiana che guida con provvedimenti concreti la nuova fase storica di attenzione al territorio, non c’è che da rallegrarsene». In alcune zone della Toscana, l’abusivismo è la regola.
L’Argentario ne rappresenta l’esempio più evidente. La causa sta nella rapacità dei singoli che diventa abitudine o nell’incapacità delle amministrazioni a fornire risposte adeguate? «I due fattori si combinano in una fatale complicità, le cui vittime sono i cittadini di oggi, ma anche quelli di domani. E’ davvero un sacro dovere quello di tramandare alle generazioni future un paesaggio degno di esser vissuto, cioè degno di quello che i nostri padri hanno creato per noi attraverso generazioni e generazioni. La normativa c’è, e se non funziona è perché la normativa del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio non è ancora entrata pienamente in funzione. Sarebbe inoltre giusto, in Toscana, rivedere opportunamente la legge 1: non è accettabile che arbitro ultimo del paesaggio, urbano e non, debba essere il Comune, e che la Regione riduca se stessa al ruolo della suocera molesta, che prova a protestare ma può essere tranquillamente messa alla porta». A Massa Carrara e all’Elba l’abusivismo ha provocato disastri ambientali. La tombatura dei torrenti, la costruzione negli alvei dei fiumi, l’edificazione su terreni franosi… «L’incapacità non di una singola Regione, ma dell’Italia di reagire all’estrema fragilità del territorio è un sintomo preoccupante della nostra miopia.
Ci manca quello sguardo lungimirante che dovrebbe indurci a puntare non su nuove “grandi opere”, ma su una messa in sicurezza del territorio: frane, assetto idrogeologico, i problemi della sismicità. Invece, le grandi opere si fanno a scapito del territorio: la Tav Bologna-Firenze ha ucciso circa ottanta torrenti, disseccato sorgenti e pozzi. Succederà qualcosa di simile col “passante Tav” che misteriosamente deve passare sotto Firenze, e non in superficie (costerebbe un quarto, e senza rischi)?» In altre zone si è invece cementificato secondo legge. O meglio, secondo piani regolatori incuranti della tutela del territorio e del paesaggio. Come a San Vincenzo. Perché i comuni, soprattutto se piccoli, non sanno opporsi all’avanzata del cemento? «I Comuni sono schiavi di un meccanismo spietato: con una legge Bassanini si è reso possibile che gli oneri di urbanizzazione vengano utilizzati non solo per opere (appunto) di urbanizzazione, ma per la spesa corrente dei Comuni. Poco dopo, Tremonti tagliava drasticamente i contributi ai bilanci comunali, e questa tendenza si è prolungata negli anni. Di conseguenza, per i Comuni gli introiti da oneri di urbanizzazione sono diventati preziosissimi: per sopravvivere, devono dare permessi di costruzione, svendendo il territorio.
Ma c’è una lega di “Comuni virtuosi” che hanno decretato “zero consumo di territorio”. In Toscana ce ne sono troppo pochi, e San Vincenzo (dove sono residente) non è certo un esempio di specchiata virtù». Il paesaggio toscano è tra i più belli al mondo, ma viene maltrattato in nome dell’interesse di pochi. Di fronte agli scempi la gente è apatica e i politici, se va bene, inerti. Spesso si riempiono la bocca di parole come valorizzazione, sistemazione, adeguamento, ri-centramento… Siamo ostaggio della lobby dei costruttori? «Il fatto positivo degli ultimi anni è la crescita della coscienza civile, che in Toscana ha generato fra l’altro la rete dei comitati. Le lobby dei costruttori, in Toscana spesso collocate (si fa per dire) “a sinistra”, vanno sconfitte mediante una battaglia per la legalità, per le generazioni future, per la Costituzione».(a.v.)
Il Tirreno 01.04.2012
L’ecomostro di Procchio costruito sull’alveo di un fiume a maggio sarà demolito
Ha i giorni contati l’ecomostro di Procchio, simbolo per eccellenza del terremoto giudiziario che nel 2003 sconvolse l’Isola d’Elba. In maggio sarà finalmente abbattuto, con le colonne grigie e nude ridotte in polvere e i solai di calcestruzzo fatti a pezzi. Doveva essere un centro servizi, con appartamenti, uffici, negozi e posti auto sotterranei. Invece è solo uno scheletro di cemento, 7500 metri cubi tirati su proprio nell’alveo del fosso Vallegrande, da cui è stato allagato il 7 novembre scorso. L’ultima in ordine cronologico, prevedibilmente la prima di una lunga serie prodotta dai mutamenti climatici: in una manciata di minuti ora viene giù la quantità di pioggia che prima ci metteva giorni a cadere. Per evitare disastrosi allagamenti, come quello dell’autunno scorso, bisogna ricostruire il reticolo idraulico, che a Procchio passa attraverso la demolizione dell’ecomostro: il fosso Vallegrande scorre proprio lì, ma non si vede. Fluisce nel cemento. È tombato e, quando s’ingrossa, allaga ogni cosa. L’intesa di Procchio.
L’accordo per l’abbattimento è stato illustrato da Enrico Rossi, presidente della giunta regionale ma nella circostanza in veste di commissario straordinario per l’alluvione. Perché di accordo si tratta, con l’imprenditore Franco Giusti disponibile a farsi carico delle spese: «All’Elba ho già lasciato 12 milioni – racconta il proprietario dell’ecomostro -, ne spenderò altri 500mila per smantellare tutto». Il governatore ha ricordato che lo scheletro di cemento da otto anni ostacola il deflusso delle acque: «Restituiremo al torrente lo sbocco diretto al mare. Ma sarà sistemato anche il reticolo idraulico della valle». L’intervento costerà cinque milioni e garantirà lo smaltimento di ondate di piena fino a 29 metri cubi al secondo per un chilometro. Poi il paese di Procchio sarà sicuro e reso più bello dalla cancellazione della bruttura di cemento. «Arrivammo all’Elba nel 2002 – spiega Franco Giusti – e acquistammo da Edilmare il terreno con la concessione edilizia approvata». Un ecomostro “concessionato”, come si dice in gergo tecnico, che nessuno avrebbe cancellato senza un accordo con l’intestatario della licenza: «Possono esser demolite solo le opere costruite senza autorizzazione. Quelle in regola, dobbiamo tenercele. Intanto, godiamoci questo risultato», ha aggiunto Enrico Rossi.
Nel caso specifico, poi, non c’è mai stata un’ordinanza di demolizione e la disponibilità di Franco Giusti a trovare un’intesa costituisce la premessa perché s’intavoli un’ulteriore discussione, stavolta relativa a trasferire altrove i volumi edificativi previsti con l’ecomostro. Il nodo del paesaggio. D’altra parte i temi della tutela del suolo e del paesaggio rappresentano il punto nodale del futuro della regione. E Rossi ricorda di aver dato un incarico al centro di ricerca sul territorio e di aver siglato una convenzione col ministero dei beni culturali per mettere a punto il piano paesaggistico: «Il paesaggio rappresenta la nostra identità – ha spiegato il governatore -. Tutelarlo e mantenerlo è un compito prioritario, evitando che la Toscana diventi il luogo delle seconde case come se fosse la Florida d’Europa. Sarebbe una prospettiva devastante: per questo dovremo favorire il riuso e la ristrutturazione dei volumi esistenti». 13 milioni per l’Elba. Ai cinque milioni previsti per la zona di Procchio, se ne aggiungeranno altri otto (tre dei quali stanziati dal governo) per le azioni di ripristino e di prevenzione nei comuni di Campo nell’Elba e di Marciana. Si tratta di un primo stralcio, poiché l’intero piano d’interventi si aggira sui 50 milioni.
Solo i danni denunciati dai privati, infatti, superano i due milioni: per ora saranno parzialmente ripagati, nella misura di 500mila euro. A questi si aggiungeranno i 200-250mila stanziati dalla Provincia di Livorno. Così sarà in questa fase, ha ricordato il presidente nella sua veste di commissario, poiché il governo ha stanziato tre milioni, «molti meno di quanti pensavamo». E dunque, tolta la quota d’indennizzo ai privati, due milioni e 420mila euro saranno destinati alle imprese, che sono soprattutto turistiche. Di più è difficile immaginare, visto che con Fidi Toscana sono state istruite un centinaio di pratiche da parte delle aziende elbane e lunigianesi, anche quest’ultime colpite da una disastrosa alluvione.
Le banche però hanno concesso crediti solo per 2,6 milioni. Capitolo risarcimenti a parte, la Regione cercherà di mettere in sicurezza il territorio isolano sommerso in autunno dai torrenti in piena, con le strade trasformate in fiumi: per Procchio e Marina di Campo servono 25 milioni, 13 dei quali già stanziati dalla Regione compresi gli interventi di somma urgenza. Ma già ora «l’Elba è pronta alla stagione estiva – ha concluso Rossi -. Tutto è stato ripristinato. Basta andarci per rendersene conto. Tanto più che le tariffe dei traghetti Toremar non subiranno ritocchi per tutto il 2012».
Il Tirreno 01.04.2012
Un’altra estate col mostro di cemento
Dopo la curva di via del Tirreno, è facile notare un cartello collocato su una colonna dello scheletro dello stabilimento balneare. Sopra vi è scritto: “Chi ha permesso questo scempio deve andare in galera”. Lo scheletro d’acciaio e cemento di quello che è (o doveva essere) lo stabilimento Bahiahybe è lì da quattro anni, con i pilastri ben piantati nell’arenile.
Solo il bar posato su una palafitta di legno e la piccola spiaggia in concessione hanno finora funzionato. Al posto dell’inquietante scheletro, doveva esserci un ristorante e uno spazio per ginnastica e relax. Gli abitanti di via del Tirreno, che si sono visti portar via le isole dell’arcipelago dagli occhi, lo considerano il vero ecomostro di San Vincenzo. Il Tar ha dato ragione ai cittadini che hanno fatto ricorso contro l’altezza della nuova struttura che ha tolto loro completamente la vista del mare. I giudici hanno stabilito che la struttura deve essere abbassata di un metro dalla base e di un metro in altezza. «Ma vi sono ancora ricorsi – dice il sindaco Michele Biagi – da parte della proprietà, la società Acquachiara, nei confronti dei condomini. Al momento tutto è in stand by». Un’altra estate con l’ecomostro. Questo è ciò che si profila per chi frequenterà la spiaggia libera adiacente il Fosso delle Prigioni. Ma la questione non riguarda il solo Bahiahybe. Tutta la zona versa in una desolante situazione di degrado.
Una pompa continua a gettare fuori liquidi dagli odori nauseabondi. Ci sono tubi in acciaio e rifiuti sulla spiaggia davanti allo scheletro dello stabilimento, erba alta e folta sul letto del Fosso delle Prigioni, con scarichi volanti provenienti dal boschetto limitrofo. «Siamo arrabbiati col Comune – spiegano due coniugi che abitano qui – Stiamo pensando da tempo di trasferirci altrove. È inverosimile che in tanti anni non si sia trovato il modo di far sparire questo scempio. Costerebbe meno – proseguono – buttarlo interamente giù e costruire una palafitta in legno, bella e rispettosa del paesaggio, piuttosto che adeguare l’orribile struttura presente. Sembra di stare negli squallidi bassifondi di una metropoli». L’atmosfera, tra gli abitanti della zona, è di rabbia e frustrazione. «Questo è uno scempio – dice un altro residente in zona – che dovrebbe fare il giro d’Italia, altro che l’ecomostro dei Lecci».
I condomini di via del Tirreno hanno vinto il loro ricorso al Tar, ma a quanto pare la situazione è lungi dal concludersi. Accanto allo stabilimento, troviamo da molti mesi un grosso cassone contenitore di palline di mare, considerate da qualcuno, non si sa perché, alla stregua di rifiuti da togliere e gettar via. La parte bassa del Bahiahybe, nello spazio di circa un paio di metri dalla spiaggia al pavimento, diventa ogni anno, da maggio a ottobre, il luogo di ricovero di molti ambulanti e senza casa. Ancora più in là, ecco il circolo nautico, con il suo prefabbricato bianco e le barche stazionate alla rinfusa nel misero spazio a disposizione, fra tubi, cattivi odori e, poco più in là, strani marciapiedi posati sul letto del fosso. Ciò che dichiara il sindaco non sembra proprio essere confermato dalla gente del posto: «Cercheremo – dice Biagi – di tenere la zona nel migliore dei modi, come d’altronde abbiamo sempre fatto». Intanto un’altra estate si avvicina.
Il Tirreno 01.04.2012