La delocalizzazione dell’Italian Food può attendere. Questo in sintesi il punto d’incontro tra i lavoratori dell’Italian Food e l’amministrazione nella riunione di ieri alla saletta comunale. Oltre al sindaco Soffritti, erano presenti per la giunta Gianfranco Benedettini (assetto del territorio) e Paolo Pedroni (attività produttive), mentre Federico Mambrini della segreteria provinciale della Uila/Uil e Niccolò Cartorillo, suo corrispondente per la Cgil rappresentavano i lavoratori. L’incontro si è aperto con la lettura delle lettere di tre dipendenti. «Ci sono in questa azienda – ha affermato Elena Venucci, – persone che vi lavorano da oltre 20 anni, studenti così possono pagarsi le tasse universitarie.
Se ci sarà la chiusura, sarà difficile ricollocarsi. Lo stabilimento si è rinnovato per quanto riguarda la struttura, l’insonorizzazione, la dotazione di macchinari e pur non essendo ancora soddisfacente, sta lavorando per migliorare il problema dei vapori acquei. Non possiamo procedere alla delocalizzazione – ha continuato Venucci, – perchè la crisi non ce lo permette, visto che nei depositi c’è parte della produzione di due anni fa. E poi, è nata prima la fabbrica o le case intorno?». Caterina Iannuzzo ha rimproverato l’amministrazione perché direbbe no a tutto e penserebbe solo al trasferimento dell’azienda: «Cosa fa – ha chiesto – il comune per aiutare l’Italian Food? Sarebbe clamoroso far chiudere un’azienda cui non manca il lavoro». Debora Franchini ha inoltre ricordato l’evoluzione dello stabilimento, «che non è più la Pav, non solo perché è presente sui mercati di tutto il mondo, ma perché ha ottenuto le più importanti certificazioni di qualità, non ultimo quella per la lavorazione dei prodotti biologici».
Il sindaco ha sottolineato che il valore dell’azienda non è locale, ma ha dimensioni regionali e che il comune ha sempre lavorato con l’azienda a fianco di Provincia e Regione. Soffritti ha affermato che «nessuno vuole mandare via l’Italian Food, nessuno dice che l’azienda deve essere delocalizzata» ricordando i contatti costanti tra società e Asa per i problemi dell’acqua. «Da considerare i limiti del territorio in cui si vive. L’acqua è poca e questo richiede continuo monitoraggio, basti pensare – ha proseguito Soffritti – che in estate il consumo idrico dell’Italian Food è uguale a quello di tutta Venturina. Di fronte a obiettive difficoltà, non si può porre sul piatto subito la soluzione più drastica, quella della chiusura dello stabilimento». Il primo cittadino ha rivelato che nello stabilimento ci sono illeciti di varia natura, alcuni sanabili – «basta che sia richiesto il permesso», è stato il suo commento – , altri insanabili, per esempio collegati al mancato rispetto di distanze. È stato chiesto perché non venga concesso l’uso del terreno dietro lo stabilimento, al che il sindaco ha spiegato che la natura agricola del terreno non può essere modificata se non con una variante al regolamento urbanistico.
E sulle strutture temporanee la cui autorizzazione biennale sarebbe stata negata? Tutto falso, ha replicato Soffritti perché «nessuno ne ha chiesto il rinnovo e se ci fosse tale richiesta, l’autorizzazione verrebbe rilasciata». Sul problema rapporti Italian Food – grande distribuzione, l’amministrazione ha favorito gli incontri tra le parti, ma, ha dichiarato il sindaco, «più di questo non si può fare». L’amministrazione ha invitato l’azienda ad investire, per esempio usando il terreno riservato a Campo alla Croce per costituire depositi per il prodotto, «invece di prendere dei depositi in affitto». Luciano Bianchi, direttore dello stabilimento, ha ricordato i problemi del funzionamento e dei costi del depuratore. I problemi ci sono, perché «mentre prima si scaricava parte della acque reflue nei fossi, oggi tutto deve passare dal depuratore».
Francesco Rossi
Il Tirreno 30.04.2013