Per Baldassarri, presidente del Comitato di vigilanza di ASA, “quella sul referendum è stata una discussione in realtà molto ideologica. Gli elettori non sono stati chiamati a scegliere tra acqua pubblica ed acqua privata, bensì l’obbligo di una gara per consentire l’ingresso dei privati”. Ragion per cui qui, dove i privati sono entrati in ASA prima ancora che la legge Ronchi (quella abrogata dal referendum) lo imponesse ovunque, per Baldassarri non cambierà nulla.
Forse ci siamo sbagliati, ma , al di là di sottigliezze e bizantinismi, ci pare che con il referendum i cittadini abbiano lanciato un segnale chiarissimo: la proprietà e la gestione dei servizi essenziali deve essere pubblica, non privata. Non tollerano che qualcuno si arricchisca sull’acqua a spese di tutti. Con il voto si è voluto impedire che, per legge, s’imponesse all’Italia intera di fare quello che in Toscana è stato fatto per scelta autonoma della politica, ossia far entrare i privati nella gestione dell’acqua riconoscendo loro profitti.
Il fatto che la Toscana lo abbia fatto prima della legge abrogata non la esime certo dal riflettere sulle sue esperienze. Quella di ASA la conosciamo e non ci pare un modello esemplare, visto che in meno di 10 anni le tariffe sono aumentate del 70%, che si paga di più se si consuma meno acqua, che gli acquedotti hanno perdite superiori alla media nazionale, che non sono stati ancora fatti gli investimenti per eliminare boro e arsenico, che i Comuni non discutono più di nessuna strategia di governo dell’acqua, che sono state accumulate perdite finanziarie, che ASA non paga i canoni ai Comuni, ecc. Questo i cittadini lo sanno.
Se la Toscana non vuole mortificare la straordinaria spinta alla tutela dell’interesse pubblico che il referendum ha espresso, dovrà dare segnali ben diversi da quelli espressi da Baldassarri.
Serve una stagione di maggiore umiltà, di trasparenza e di rinnovato impegno per garantire servizi pubblici efficienti, senza sottogoverno politico e senza profitti per i privati. Tradire oggi un’aspettativa così forte e manifesta significa condannare il Paese ad un periodo di disimpegno civico e sfiducia nelle istituzioni.
Le liste civiche s’impegneranno per non mortificare il senso profondo dei referendum, sperando di trovare interlocutori più sensibili rispetto al recente passato.
16 giugno 2011
Comune dei Cittadini
Forum per San Vincenzo
Uniti per Suvereto
La dichiarazione di Fabio Baldassari (Il Tirreno 14.6.2011):
All Asa però il privato resterà
Il significato del referendum sulla acqua è soprattuto politico. Nulla infatti cambierà in Asa per effetto del referendum che ha abolito la norma delle legge Ronchi che obbligava i Comuni a bandire una gara pubblica per affidare il 40% della società di gestione al privato. Diversa conseguenza potrà avere invece il socondo, con il quale è stata abrogata la norma che garantiva al privato una renunerazione non inferiore al 7% sul capitale investito.
Ad aiutarci a chiarire la nuova situazione è Fabio Baldassarri, piombinese e presidente del comitato di vigilanza dell’Asa, che in tempi non sospetti – quasi due mesi fa – in una lettera pubblicata dal nostro giornale aveva dichiarato che, al di là delle posizioni che avrebbe preso il suo partito (il Pd), avrebbe votato Sì ai referendum sull’acqua.
«Il rapporto tra pubblico è privato non cambierà – sostiene Baldassarri – L’ingresso dei privati nell’Asa, oggi al 40%, è stato fatto prima della legge Ronchi, utilizzando le norme già in vigore con la legge Galli». Oggi è l’Iren, società quotata in borsa, a detenere il 40% delle azioni di Asa. «Secondo le norme della legge Ronchi – spiega Baldassarri – trattandosi di una società quotata in borsa, i Comuni sarebbero stato obligati a cedere addirittuta il 70% delle azioni al privato. Cosa che avrebbe provocato uno sconquasso sia per l’Iren che per l’Asa. I Comuni, obbligati a cederle, avrebbero inoltre visto svalorizzate le proprie azioni».
«Quella sul referendum è stata una discussione in realtà molto ideologica. Gli elettori non sono stati chiamati a scegliere tra acqua pubblica ed acqua privata, bensì l’obbligo di una gara per consentire l’ingresso dei privati. Non si capisce perché – è qui Baldasarri spiega le ragioni del suo Sì – un Comune della Valtellina o dell’Alto Adige che con l’acqua può guadagnare, sia obbligato a lasciare spazio ai privati. Diversa è invece la scelta di farlo, soprattuto là dove – come da noi – i costi degli investimenti sono alti».
Non ha avuto dubbi, Baldassarri, neppure sul secondo referendum. «Assicurare una remunerazione fissa del capitale investito non è neppure da un’economia liberale. In realtà quel 7% garantito non è altro che l’interesse che il privato paga alle banche per fare gli investimenti. Non sia capisce più, dunque, perché non sia diretamente il gestore pubblico a ricorrere alle banche».
Il referendum, tuttavia, non ha cancellato la remunerazione per il privato, che ora può essere liberamente fissata sopra o sotto la soglia del 7% nei rapporti societari.
Dopo i referendum secondo Baldassari qualcosa dovrà cambiare nella legge. «L’acqua è di fatto un monopolio pubblico locale. In questo modo, se ad esempio Livorno che ne ha meno prende acqua da Lucca la deve pagare gravando sulle tariffe. Sarebbe molto più giusto ed opportuno che l’acqua venisse considerata un bene demaniale nazionale o quanto meno regionale. In questa direzione in Toscana si sta già marciando, intanto con l’ipotesi di passare da sei Ato (Ambiti territoriali di bacino) ad uno solo per tutta la Regione».
G.P.
SULLA STAMPA:
Liste civiche all’attacco «Manca una strategia»
«ASA non è certo un modello esemplare». A sostenerlo sono le liste civiche della Val di Cornia Comune dei Cittadini (Campiglia), Forum per San Vincenzo e Uniti per Suvereto. «L’esperienza di Asa la conosciamo e non ci pare un modello esemplare, visto che in meno di 10 anni le tariffe sono aumentate del 70%, che si paga di più se si consuma meno acqua, che gli acquedotti hanno perdite superiori alla media nazionale, che non sono stati ancora fatti gli investimenti per eliminare boro e arsenico, che i Comuni non discutono più di nessuna strategia di governo dell’acqua, che sono state accumulate perdite finanziarie, che Asa non paga i canoni ai Comuni, ecc. Questo i cittadini lo sanno». Le liste civiche sono sul piede di guerra: «Serve una stagione di maggiore umiltà, di trasparenza e di rinnovato impegno per garantire servizi pubblici efficienti, senza sottogoverno politico e senza profitti per i privati. Tradire oggi un’aspettativa così forte e manifesta significa condannare il paese ad un periodo di disimpegno civico e sfiducia nelle istituzioni».
Le liste civiche della Val di Cornia (Comune dei Cittadini, Forum per San Vincenzo e Uniti per Suvereto) s’impegneranno «per non mortificare il senso profondo dei referendum sperando di trovare interlocutori più sensibili rispetto al recente passato».
La Nazione 18.6.2011
IL DIBATTITO
L’Asa deve rinunciare alla parte privata
I risultati dei referendum, in particolare quelli per l’acqua, rivelano che gli italiani vogliono essere cittadini attivi dopo decenni di prigionia del pensiero unico secondo cui non ci sono alternative all’egemonia dei mercati e della finanza e riportano pure al centro della scena politica i beni comuni e il desiderio di partecipare alla costruzione di un nuovo modello di società e di comunità.
Anche in Val di Cornia i votanti del sì sono molto più numerosi dei voti dei partiti favorevoli al referendum, questo ci dice che i cittadini, soprattutto giovanissimi, vogliono riappropriarsi della politica e lo fanno svincolati dai partiti. Questi partiti, salvo eccezioni, sono stati scettici, incerti fino da ultimo, assenti per gran parte della campagna referendaria.
Su uno dei referendum sull’acqua, il Pd si è convertito al sì solo nelle ultime settimane, mentre alcuni politici di rilievo hanno sostenuto il no fino da ultimo, sostenendo il modello toscano delle privatizzazioni e invece il quesito del profitto al privato è stato quello che ha avuto più voti. Si rispetti il mandato ricevuto dal referendum: fuori i profitti dalla gestione dell’acqua, fuori i privati dalla gestione dell’acqua, e siccome non abitiamo su Marte, fuori i privati dalla gestione di Asa.
I quesiti referendari e la vittoria dei Sì restituiscono ai sindaci e alle amministrazioni comunali i comandi di una nuova politica e la possibilità di disporre di strumenti per favorire il controllo dal basso di beni e risorse da acquisire alla sfera dei beni comuni, ridisegnando i servizi in forma mirata e territoriale, attraverso il coinvolgimento diretto degli utenti. Una forma di “bilancio partecipato” che investe non solo l’acqua ma tutti i servizi pubblici locali: il trasporto, la gestione dei rifiuti e l’energia.
Non è accettabile da parte di nessuno, nemmeno da parte di Fabio Baldassarri, quale che sia il suo ruolo, cercare di ignorare il mandato popolare, di eluderne il senso, di aggrapparsi ad interpretazioni capziose e cavillose per fare in modo che niente cambi. La comprensibile ritrosia e l’ancorarsi alle proprie opinioni in modo coerente, là dove divenga elemento ostativo all’adempiere al mandato popolare, può essere risolto solo rassegnando le dimissioni.
Il compito dei politici è quello di rispettare il voto e porsi il problema come ripubblicizzare Asa, non quello di sancire l’inviolabilità di una privatizzazione.
Comitato referendum acqua pubblica e nucleare Val di Cornia (Il Tirreno 18.6.2011)
ASA
L’azienda non segue logiche di mercato
Asa vorrebbe puntualizzare alcune affermazioni contenute nell’articolo “Il referendum ci dice di ascoltare i cittadini”, pubblicato mercoledì 15 giugno su “Il Tirreno”.
Asa non segue “logiche di mercato”, poiché la gestione del servizio idrico già adesso avviene in condizioni di “monopolio naturale”, secondo il quale una sola società deve gestire i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione.
Si vuol ricordare che le questioni vengono tutte discusse a livello di Aato (Autorità d’ambito territoriale ottimale). Nel nostro caso Aato 5. Di fatto e di diritto, Aato 5 è espressione della volontà dei 33 Comuni che vi fanno parte. Inoltre è improprio dire che Asa “aumenta le tariffe quando i consumi calano”. Asa è infatti gestore del servizio alle condizioni economiche che vengono stabilite dall’Aato 5: queste condizioni prevedono che l’azienda recuperi i costi connessi al servizio che l’Autorità stima e fissa per la gestione del servizio stesso e per la realizzazione degli investimenti. Detto recupero è garantito mediante una tariffa prestabilita con un sistema di calcolo fissato per legge e applicata ai consumi idrici degli utenti.
Alla fine d’ogni triennio, Asa presenta all’Aato 5 una rendicontazione per illustrare la propria attività di gestore. Nel caso che i ricavi realmente conseguiti siano superiori a quelli riconosciuti dall’Aato 5, il gestore restituisce nel triennio successivo la differenza; viceversa, nel caso siano inferiori, Asa li recupera nel triennio seguente. In entrambi i casi il recupero viene regolato nella tariffa del triennio successivo.
Asa non ha affatto accumulato “perdite finanziarie”. Il bilancio 2010 si è chiuso con un utile netto consolidato di 3,4 milioni di euro (Gruppo Asa) e un utile netto dell’esercizio di 1,9 milioni di euro (Asa spa).
Ufficio stampa ASA (Il Tirreno 18.6.2011)
WWF: SULL’ACQUA SI RIPARTA DALLA PROPOSTA DEL 2007
Corriere Etrusco 18.6.2011
Avendo seguito attivamente il dibattito referendario e partecipato all’attività del locale Comitato per l’acqua bene comune, mi accorsi presto che la cittadinanza della Val di Cornia sarebbe andata in massa a votare principalmente per scrollarsi di dosso proprio l’ASA, percepita da molti come un nemico da abbattere più che un istituto da riformare. Credo che, se la tendenza futura sarà quella espressa dal Baldassarri, una eventuale protesta potrà contare su di un discreto appoggio popolare ed eventualmente estendersi a tutta la Provincia.