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Val di Cornia: l’ingranaggio rotto dei Parchi toscani (Il Sole 24 ore)

Maggio 27, 2013
In Economia & Lavoro, Servizi Pubblici, Sociale & Cultura, Territorio & Ambiente
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il sole

La struttura leggera e iper motivata che riuniva con successo cinque Comuni responsabilizzandoli dal basso si è inceppata, bloccata da beghe politiche e di campanile.
Si è chiusa la porta ai privati, prevalgono forze centrifughe e figure come quella del sindaco di Piombino che ha sottratto al Parco autonomia finanziaria.

Una storia italianissima, quella della Val di Cornia. Le vicende italiane, proprio per non tradire l’originalità dei nostri cromosomi, alle volte si srotolano al contrario, come un fiume che scorre all’insù, oppure una storia dal prologo benaugurante che precipita in tragedia, un’antistoria o una storia alla rovescia.
Dopo i siculi della Val di Noto e i camuni della Valle Camonica, l’epicentro del distretto culturale coincide con un’altra popolazione antichissima: gli etruschi, come se la ricchezza dei popoli che abitarono la penisola (siculi, camuni, etruschi) continui a rivelarsi una fonte inesauribile di ricchezza. Poi c’è la costa Toscana, quella dei pini alti e schietti, quella del mare di ulivi e pini marittimi. Piazza Bovio, a Piombino, sembra un manuale di geografia squadernato su uno dei paesaggi più formidabili di questo Paese: l’Elba, Montecristo, l’isola di Capraia e, sullo sfondo, il dito della Corsica, galleggiano sotto il cielo violaceo che annuncia la notte.
È da Piombino e dagli etruschi che bisogna partire. Il mondo dorato di Bolgheri, dei vini Super Tuscan, dei marchesi Antinori e dei conti Della Gherardesca è a meno di una trentina di chilometri da qui, ma è come se questi due pezzi di Toscana si fossero voltati le spalle per un’allergia conclamata.

A Piombino gli altoforni, gli sbuffi catramosi del carbon coke, la falce e il martello, il mito della fabbrica e dello stipendio pubblico. Trentamila abitanti, diecimila posti di lavoro all’Ilva. La vita e la morte sono scandite dal suono delle sirene del cambio turno. Intorno il paradiso, e per i piombinesi solo l’inferno dell’altoforno. Nel ’94 la proprietà pubblica dell’Iri suona il rompete le righe. È il de profundis per l’acciaio di Stato. Arriva il bresciano Lucchini, e a Piombino annusano che un’epoca è finita per sempre. A settemila operai non resta che riporre la tuta nei cassetti. Lo sanno anche i sindaci dei cinque Comuni che si sgranano uno attaccato all’altro dal mare all’entroterra: Piombino, Campiglia Marittima, Sassetta, San Vincenzo e Suvereto. Tra loro il feeling è antecendente: da una ventina d’anni hanno deciso di cedere a un organismo sovraordinato la pianificazione strategica. Da questa concertazione nasce l’idea di costituire la Parchi di Cornia Spa, una società pubblico-privata alla quale viene delegato il potere di gestire il sistema dei parchi. Idea originale, perché sono i Comuni che si auto organizzano senza aderire al sistema dei parchi nazionali o regionali. Una responsabilizzazione dal basso e un sogno: quello di far marciare in sintonia cinque sindaci “rossi”, cinque Comuni diversi (Sassetta ha 600 abitanti, Piombino 30mila) e cinque popolazioni che scommettono sulla salvaguardia del territorio come strumento di sviluppo.

A guidare la società consortile è Massimo Zucconi, fino ad allora capo della pianificazione urbanistica del Comune di Piombino. Zucconi fa le cose per bene. Crea una struttura leggera e ipermotivata. Fa delle miniere di San Silvestro un museo a cielo aperto di 400 ettari, ingaggia una lotta senza quartiere con i cavatori che ancora oggi operano dentro questo parco; chiede allo Stato la concessione della necropoli immersa nel parco di Baratti-Populonia, pini marittimi e tombe etrusche che digradano verso il mare, la prima volta nella storia repubblicana in cui la gestione di un parco archeologico viene assegnato a un consorzio di Comuni. Un ritorno alla civiltà etrusca, sopravvissuta per miracolo a un megapiano di lottizzazione edilizia, 1,8 milioni di metri cubi previsti dal piano regolatore di Piombino del ’67 e poi bocciato dal ministero dei Lavori Pubblici. Il resto del capolavoro lo fanno i Zucconi’s boys: organizzano delle gare a evidenza pubblica per i 34 bar, chioschi, ristoranti e le altre attività imprenditoriali all’interno dei parchi; creano una task force che autofinanzia le opere accedendo ai fondi comunitari e rastrella quei 25 milioni di euro che danno vita a un sistema di sei parchi: oltre all’archeologico di Baratti-Populonia e il minerario di San Silvestro ci sono quelli costieri di Rimigliano e Sterpaia e Poggio Neri-Montioni nell’entroterra. Un lavoro che in un Paese normale meriterebbe alte onoreficenze.

Dal 1997 al 2007 molte cose sono cambiate. Soprattutto i sindaci. I padri della Parchi val di Cornia sono stati sostituiti da primi cittadini più scaltri. Zucconi, con il suo iperattivismo, ha fatto ombra a qualcuno. E poi, peccato mortale, ha creato un sistema ingegnoso, quello dei parcheggi a pagamento per accedere ai sei parchi (un milione l’anno cash), che consente alla società di autofinanziarsi. Funziona, ma la Parchi ha troppo potere.
Il sindaco di Piombino, il piddino ed ex comunista Gianni Anselmi, alla scadenza dell’incarico relega Zucconi all’ufficio Ambiente del suo stesso Comune. La tesi di Anselmi è semplice: i parchi non sono un’emanazione divina ma proprietà dei Comuni del territorio. La traduzione pratica di questa strategia arriva nel 2012, quando Piombino avoca a sé gli incassi dei parcheggi, lasciando alla Parchi solo i costi. E i debiti che fatalmente si accumuleranno. Al posto di Zucconi è stato nominato Luca Sbrizzi, un geologo meno conflittuale che agogna l’adesione della società alla Regione Toscana, forse per sottrarla alla presa dei sindaci.

Una stagione è finita per sempre. Il parco ha raddoppiato le presenze in dieci anni (da un milione a 2,1), ma evidentemente non è bastato. Una parte del processo evolutivo si è bloccato quando la società ha azzerato la presenza dei privati. A partire dal 2004 il nuovo codice dei Beni Culturali ha imposto il totale controllo pubblico nei casi in cui un ente gestisca un parco archeologico, in questo caso quello di Baratti-Populonia.
A Piombino le forze centrifughe hanno avuto la meglio e ormai si litiga pure sull’appartenenza provinciale: un gruppo di cittadini raccoglie le firme per l’adesione a Grosseto, una scelta che creerebbe una frattura tra Piombino e gli altri Comuni che ai tempi costituirono la Parchi, tutti nella provincia di Livorno. Beghe politiche che si sommano a beghe di campanile.

Daniele Mazzanti è un imprenditore steineriano che gestisce una fattoria biodinamica a Sassetta: settanta ettari di bosco e una sorgente termale («ci sono voluti dieci anni per ottenere i permessi della Spa», dice per indicare quali siano le vere priorità). Lui, che fu uno dei fan più accaniti della Parchi, invoca il ritorno alla concordia: «Dobbiamo tornare allo spirito del ’94. Altrimenti, saranno guai per tutti».
Mazzanti e gli altri imprenditori avrebbero potuto e dovuto costituire il punto di equilibrio all’interno della società sovracomunale. Niente da fare. Chi di pubblico ferisce, di politica perisce. «La Parchi non attrae più fondi europei», dichiara sconsolato Sbrilli. Con i cinque Comuni che, come il panorama che si gode da Piombino, sono tornati a essere un complesso di mari, di isole e di coste frastagliate. Posseduti, per scelta, da un’invincibile solitudine.

Mariano Maugeri – Il Sole-24 Ore 26 maggio 2013

 

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Tags: Parchi
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