“Quando il brutto domina sovrano è normale pensare che dietro gli orrori vi sia ben altro che una rigida disciplina…”
“L’amministratore locale teme di limitare la potenzialità dell’edilizia: non era così quando decideva la Regione”
Caro direttore,
i sindaci rimproverano chiunque si azzardi non solo a criticare, ma anche solo a proporsi di ascoltare coloro che criticano. Così è stato per l’assessore all’urbanistica della Regione Anna Marson, per l’urbanista Vezio De Lucia, per gli esponenti dei comitati. Alle opposizioni in Consiglio, e a noi in particolare, rimproverano di non conoscere i fondamenti dell’urbanistica. Purtroppo li conosciamo e sappiamo che in Toscana i regolamenti urbanistici devono rispettare i piani strutturali.
A Campiglia, invece, il regolamento urbanistico non rispetta il piano strutturale per molti aspetti, tra cui il famigerato «premio edificatorio» per chi costruisce alloggi a canone sociale. Una deroga non ammessa in base alla quale potrebbero essere costruiti circa 300 alloggi in più del previsto. L’architetto Grassi ci ha spiegato che tutto si risolverà con una non meglio precisata «autoregolazione». Autoregolazione di chi? Resta il fatto che la norma sul raddoppio esiste e che per rispettare il piano strutturale va semplicemente cancellata: l’edilizia popolare e a canone sociale deve essere realizzata all’interno dei 650 alloggi previsti, come chiaramente prescritto dal piano strutturale.
E già che siamo a fare chiarezza, chiediamo ai sindaci di dare spiegazione su un’altra scelta che a noi pare del tutto incoerente. Il piano strutturale (pag. 327 della relazione) stima in circa 260 lo stock complessivo di alloggi da realizzare in tutte le aree critiche di Piombino, Campiglia e Suvereto in aggiunta al dimensionamento abitativo previsto. Siccome il dimensionamento abitativo di Campiglia è pari a un quarto del totale dei tre Comuni, qui si sarebbero dovuti prevedere circa 65 alloggi nelle aree critiche in deroga ai 650 totali previsti. Ci spiegano perché nel primo regolamento urbanistico ne hanno previsti 185 che potrebbero addirittura diventare 370 se non viene cancellata la norma sulla premialità per l’edilizia a canone sociale? Lo scarto è enorme. Sarebbe bene che le amministrazioni iniziassero a fornire precise risposte sulle scelte che hanno compiuto. Forse sarebbe bene che si andassero anche a rileggere il piano strutturale che hanno approvato.
Comune dei cittadini
Campiglia Marittima
Caro direttore,
leggo con interesse il dibattito che si sta sviluppando attorno alla riforma della legge regionale urbanistica della Toscana e alle riflessioni che la Regione (impersonata dall’assessore Marson) e gli enti locali stanno accendendo. Quello che viene definito come «dilemma del rapporto fra strumenti urbanistici» (piano strutturale e regolamento urbanistico) costituisce non tanto causa bensì un effetto del problema che più a monte esiste in un sistema regionale di disciplina della pianificazione urbanistica che ha portato all’estremo l’autonomia pianificatoria delle amministrazioni, specie quelle locali. Di per sè, l’autonomia degli enti locali non è deleteria: ma l’effetto positivo che potrebbe conseguirne viene annullato dalla sostanziale assenza di un sistema di controllo sovra-comunale delle scelte urbanistiche, il quale è affidato a passaggi successivi (se si eccettua il piano strutturale) e, spesso, di sede contenziosa. Per quanto vetusta, la vecchia «approvazione regionale» dei piani urbanistici comunali consentiva di operare scelte di governo del territorio, ad esempio, di un Comune senza che — obbligatoriamente — prevalessero (come oggi spesso accade) logiche politiche ancor prima che di sviluppo ordinato e sostenibile. Mi spiego: sempre più spesso la pianificazione e l’urbanistica vengono vissuti come momenti di creazione (e/o mantenimento) del consenso politico (dal piccolo possidente al grande speculatore; ma anche il settore del turismo o del commercio); intendiamoci, il senso di questo rilievo non è necessariamente negativo (non sto parlando di voti di scambio), perchè questo è solo uno fra i tanti e normali sistemi di formazione del consenso locale (che sempre sono stati così: non ce lo nascondiamo).
In sintesi, l’amministratore locale teme (non necessariamente a torto) la responsabilità della scelta, ad esempio, di limitare le potenzialità edificatorie (si pensi alle ripercussioni in termini di crescita e sviluppo economico di un territorio e al giudizio di disvalore che queste scelte spesso raccolgono a livello di consenso). Tale circostanza — insegna la storia dell’ordinamento urbanistico regionale toscano — era meno frequente quando era la Regione ad approvare i piani. La Regione, in sede di approvazione, poteva anche inserire e/o stralciare parti di pianificazione che non erano considerate conformi all’indirizzo sovra-comunale: in questo modo, l’amministratore locale il cui territorio era oggetto di un piano urbanistico «congelato» dalla Regione risentiva poco o niente in termini elettorali della scelta regionale, consentendo una sinergia Comune-Regione che oggi non pare troppo evidente.
La querelle «piano strutturale-regolamento urbanistico», si può leggere esattamente come riflesso di quella dicotomia, parallela, fra «politiche sovracomunali-politiche comunali» che, non essendo sinergicamente impiegate e organizzate, finiscono spesso per generare attriti e indecisioni (saranno un caso le incomprensioni fra il nuovo assessore e i sindaci? Eppure né l’una né gli altri hanno torto). Il recupero delle funzioni di controllo è un primo passo verso l’armonizzazione di un ordinamento regionale che, ormai, è praticamente tutto sbilanciato su singoli territori comunali e, almeno apparentemente, senza una disciplina giuridico-normativa che affermi la primazia della visione d’insieme che la Regione ha il diritto e il dovere di proporre e affermare.
Alessandro Del Dotto
* Avvocato e Cultore della materia in Diritto Pubblico, Amministrativo e Urbanistica Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa
Caro direttore,
non faccio parte di alcun comitato di Venturina o di Suvereto o di Piombino (ammesso che quest’ultimo esista) tuttavia ciò che sta accadendo in questa parte di Toscana — o che è già accaduto — è di tale rilevanza che merita di rimanere il più possibile sotto i riflettori dei giornali e all’attenzione dell’opinione pubblica.
Vorrei partire dalla coda della vicenda, ovvero da quella lettera che hanno scritto i sindaci di Campiglia Marittima, Piombino e Suvereto per rintuzzare quanto aveva detto l’assessore regionale Marson. Già, che cosa aveva detto Anna Marson? Che secondo lei esistono spesso delle discrepanze tra il piano strutturale e i singoli regolamenti urbanistici. Niente di «sovversivo» dunque. Peraltro le sue parole non erano affatto riferite ad una situazione particolare, anche se, va detto che la competenza della Marson è tale che qualcosa deve avergli messo una pulce nell’orecchio. Comunque sia: apriti cielo! C’è un motivo di carattere, per così dire generale, che spiega tutto: perché se si cominciano ad accendere i riflettori sulla situazione complessiva del modo di amministrare il territorio, si sa dove si comincia, ma non si sa dove si finisce e potrebbero innestarsi incontrollabili reazioni a catena. Se, per qualche ventura, la popolazione cominciasse a guardarsi davvero intorno e ad affacciarsi alle finestre, se cominciasse ad interrogarsi sul merito delle scelte politico-urbanistiche, allora potrebbero essere dolori seri per gli amministratori. E i tre solenni scranni dei primi cittadini potrebbero non essere più, a fine mandato, l’anticamera di qualche nomina parlamentare o di qualche altro alto e remunerativo incarico. Dunque tutti buoni e tutti zitti (professori, architetti dissenzienti, transfughi di varia ascendenza) e soprattutto taccia l’assessore Marson, taccia anch’ella perché la sua parola, essendo pesante assai, potrebbe creare alle amministrazioni danni di immagine di irreparabile portata.
Ma nella missiva dei sindaci c’è un punto specifico che non può passare sotto silenzio. Esso è il fulcro, il cuore della lettera nella quale si «spiega» e si «giustifica» l’enorme quantità di cemento e asfalto che si è riversato a macchia di leopardo sulla costa, soprattutto tra San Vincenzo e Follonica. A parte quel singolarissimo richiamo alla «estrapolazione delle norme» sul cui tema inviterei gli estensori a maggiore cautela e a qualche ripasso dottrinario; in un punto significativo essi scrivono: «In merito alla premialità sull’edilizia sociale (…) la norma prevede la possibilità di realizzare un quantitativo aggiuntivo di alloggi destinati al libero mercato». Meglio tradurre questa prosa. Si vorrebbe dire, in sostanza, che sulla questione della precedenza da accordare all’edilizia popolare della quale parla in primis la legge regionale, le norme in vigore prevedono anche che, in taluni casi, si possano far edificare un certo numero di abitazioni da costruttori privati. Domanda: perché ciò che la norma principale prevede come caso peculiare viene applicata a Suvereto, Campiglia e Piombino come se si trattasse di un fatto ordinario? Risposta: perché così i sindaci in questione fanno cassa con gli oneri di urbanizzazione e con molto altro. A spese dei cittadini, delle generazioni più giovani, del diritto alla bellezza, della indisponibilità a vendere tutto e di tutto a fare spregio. E tutto questo in palese contrasto delle linee politiche che la Regione Toscana si è data e sulle quali ha ottenuto una significativa vittoria nelle ultime elezioni.
Già, la politica. La lettera si chiude con un richiamo ad un non meglio precisato e autocelebrativo «sforzo disciplinare» di cui sarebbero protagonisti i tre sindaci firmatari. In realtà, quel che sconcerta è davvero quel senso di insofferenza che questi amministratori nutrono per chi non è d’accordo con loro, e per chi pone al centro della scena la trasparenza dei comportamenti e la questione morale. Eppure quanto è accaduto in questi mesi — i comitati di protesta, un senso di diffuso distacco dalle cose della politica che si respira ovunque nella zona, l’allarme autorevolissimo del direttore della Normale di Pisa — dovrebbe richiamare gli amministratori ad un maggiore autocontrollo e all’ascolto da posizioni di modestia e di servizio.
Quando il territorio viene rosicchiato, intristito, quando sorgono villaggetti dove c’erano campi e boschi, quando spariscono piazze e piazzette, quando una cittadina balneare con le sue eleganze liberty come San Vincenzo viene trasformata in un paesone orrendo senza forma, senza stile e senza più spiagge, quando i luoghi di incontro della popolazione della zona diventano quei casermoni dei centri commerciali, quando un ristorante di Baratti, lasciato in ottobre tutto immerso e seminascosto nel verde, lo si ritrova a primavera che svetta alto sulle cime dei pini come uno chalet svizzero… quando, in altri termini, il brutto domina sovrano, allora è normale pensare che dietro tutti quegli orrori vi sia ben altro che — come l’hanno chiamato? — «uno sforzo disciplinare di alto contenuto tecnico e politico».
Roberto Mancini
*Docente storia moderna Università Iuav di Venezia
Clicca sull’immagine per leggere l’articolo (formato Pdf):