Cronistoria degli interventi:
Articolo n° 1 tratto da Stileliberonews.org
Nessuno oggi sostiene che tra politica, istituzioni e cittadini ci sia sintonia, neppure chi fa politica e siede nelle assemblee elettive. Il rischio di dissonanza tra decisioni politiche e opinioni dei cittadini è, dunque, molto elevato. Ragione in più per prevedere il ricorso a strumenti come il referendum, anche nei Comuni. In Val di Cornia l’unico referendum, svolto, in tutti i Comuni, risale al 1984 e decise di negare il raddoppio della centrale Enel di Torre del Sale. Sono passati decenni, la politica ha ridotto la sua capacità d’interpretare e rappresentare le sensibilità dei cittadini, le leggi hanno dato ai Comuni maggiore autonomia nella disciplina di questo strumento, ma al referendum non si è fatto mai più ricorso, neppure di fronte a scelte che hanno suscitato forte discussione tra la popolazione.
I referendum consultivi sono previsti negli Statuti dei nostri Comuni, ma nessuno, a distanza di decenni, si è dotato di regolamenti per consentirne lo svolgimento. Inoltre non vengono ammessi su una materia come l’urbanistica che, per sua natura, si occupa di interessi comuni come la tutela del paesaggio, la salvaguardia del patrimonio culturale e la qualità della vita, all’interno dei quali devono trovare equilibrata soddisfazione i fabbisogni di abitazioni, di servizi e di edifici produttiviIn questa legislatura, a Campiglia, é stata avanzata la proposta di estendere il referendum anche all’urbanistica. La maggioranza l’ha respinta con le motivazioni che in Val di Cornia i Piani regolatori sono coordinati tra più Comuni, che si andrebbero a ledere diritti acquisiti da parte di privati, che la materia urbanistica é troppo complessa e che il referendum svilirebbe il ruolo delle istituzioni.
Motivazioni francamente inconsistenti poiché la pianificazione urbanistica coordinata in Val di Cornia purtroppo non esiste più da tempo (e in ogni caso non potrebbe essere impedimento a consultare i cittadini); i diritti acquisiti da privati non potrebbero mai essere oggetto di referendum; non è per niente complesso, in un piano urbanistico, isolare le scelte che suscitano forte discussione e, qualora lo richieda un congruo numero di cittadini, sottoporle a verifica del referendum.
Si può invece dedurre che il Comune di Campiglia teme la democrazia diretta e in particolare teme che possa interferire con la rendita fondiaria, che non è affatto diritto acquisito. Evidentemente, per chi amministra, merita maggiore tutela degli interessi collettivi.
Massimo Zucconi
La risposta di Gianfranco Benedettini (assessore all’urbanistica di Campiglia Mma) sul sito CDC
Caro Massimo,
rispondo solo perché non vorrei che il silenzio fosse considerato assenso e, poi, perché il tuo appello è cosa seria e da approfondire.
Ho letto attentamente la tua presa di posizione circa la possibilità di indire un referendum sulla materia urbanistica. Prendo nota per il futuro perché, oggi, non c’è alcuna possibilità. Giusto che tu aollevi il problema ma penso che non ci sia niente da fare.
Per quanto riguarda il rapporto fra urbanistica e rendita fondiaria è
questione antica.Ti invito a considerare cose che conosci bene in quanto sei stato uno dei promotori di quanto esiste nel nostro territorio. Le previsioni dei Piani Coordinati (anni 70)non si sono
ancora avverati e chissà se mai si realizzeranno.
Li ricordo perché, se realizzati, avrebbero consumato molto più terreno di quanto lo abbiano fatto i successivi. Non credo e non ho
mai creduto che i nostri tre Piani regolatori abbiano favorito la speculazione edilizia e, quindi, la rendita fondiaria. Certo, gli imprenditori hanno guadagnato e con ciò hanno fatto il loro mestiere di imprenditori. Lo dico guardando alla storia del territorio ove sono presenti errori urbanistici che, per fortuna, non hanno ancora compromesso la Val di Cornia. Certo, se non ci fosse stata l’industria (vera e propria forzatura) le cose potevano essere diverse ma c’è stata e abbiamo dovuto e facciamo ancora i conti con essa. Pensa un po’: negli anni 60/70 qualche compagno di Piombino e non solo, voleva realizzare qui ciò che è stato realizzato a Taranto!
Pensa un po’ se dovesse accadere (la ragione non lo voglia) ciò che viene minacciato per quei 2.100 lavoratori! Dove si assicura loro il pane quotidiano? Comunque, per il referendum prendo nota, senza presunzione alcuna e ben consapevole della mia “forza”. A presto e buona riflessione. Saluti,
Gianfranco Benedettini
La replica di Zucconi sul tema del referendum
Caro Gianfranco
ti chiedo solo di chiarirmi il senso della tua frase relativa al referendum sulle materie urbanistiche: ” Prendo nota per il futuro perché, oggi, non c’è alcuna possibilità”
Te lo chiedo perchè spetta a noi consiglieiri comunali, e solo a noi, decidere con lo Statuto su questa materia. E’ solo questione di volontà politica.
Un saluto
Massimo
Riflessione sulla rendita fondiaria
Caro Gianfranco
Il tuo commento sul referendum in materia urbanistica che il Comune non ha voluto recepire nello Statuto, contiene spunti per una riflessione sul governo del territorio e, in particolare, sul rapporto tra rendita fondiaria e urbanistica che sarebbe opportuno fare seriamente.
La mia opinione è che la rendita fondiaria (che io considero una patologia economica poiché produce ricchezza senza investimenti e lavoro), non sia più argomento d’interesse politico.
Rispetto alle elaborazioni culturali e politiche degli anni 60/70 questo tema è sostanzialmente scomparso dal dibattito e dalla riflessione tecnica, giuridica e politica. Con questo non voglio idealizzare quel periodo storico. Sonno anni nei quali sono stati compiuti errori nel governo del territorio da parte delle amministrazioni pubbliche italiane, comprese quelle di sinistra, in particolare sulle coste, nelle periferie urbane e, più in generale, per effetto di una visione che tendeva a sovradimensionare i piani urbanistici rispetto ai reali fabbisogni di abitazioni, zone produttive e infrastrutture. Una visione, non ancora scomparsa, in base alla quale l’espansione e la crescita edilizia sono indicatori di sviluppo.
Nello stesso tempo però, non possiamo dimenticare che in quegli anni, in tutte le formazioni politiche (compresa una parte minoritaria della Democrazia Cristiana) c’erano posizioni che si proponevano proprio di contenere il peso e i condizionamenti della rendita fondiaria sulle scelte urbanistiche. Sono gli anni che hanno prodotto le leggi sugli espropri per pubblica utilità, non solo per le opere pubbliche, ma anche per l’edilizia economica e popolare e per gli insediamenti produttivi con l’obiettivo di non far pagare la rendita fondiaria a chi aveva bisogno della prima casa o di aree per la propria attività produttiva. Sono anni in cui alcune amministrazioni sperimentarono il recupero dei centri storici ricorrendo all’esproprio per pubblica utilità, applicarono gli standard urbanisti per garantire spazi e servizi pubblici nelle città, ridussero drasticamente previsioni di espansione e crescita edilizia dei piani urbanistici del primo dopoguerra. Alcuni Comuni, pochi, avviarono processi di pianificazione coordinata.
L’esperienza dei piani coordinati della Val di Cornia degli anni 70, di cui tu sei stato protagonista insieme ad altri amministratori dell’epoca, ha molti di questi elementi di riforma e d’innovazione. Con i piani coordinati vennero stralciati circa 2 milioni di metri cubi di espansione residenziale e alberghiera, vennero classificati come parco pubblico circa 8.000 ettari di territorio (compresi 180 ettari della lottizzazione abusiva della Sterpaia e centinaia di ettari di terreno sulle colline campigliesi dove era possibile aprire cave anche dove ora c’è il parco archeominerario di San Silvestro), vennero massimizzati gli standard urbanistici prevedendo verde e servizi pubblici in una logica di “città territorio”, venne operato un fortissimo riequilibrio tra costa e collina.
Questi sono i tratti salienti di quell’esperienza nella quale si riscontra una forte propensione a contrapporsi alla rendita fondiaria. Ricordo solo che tutte le coste di Rimigliano, del promontorio di Populonia e tra Torre del Sale e Torre Mozza, vennero classificate come parchi naturali. Di fatto tutta la costa non urbanizzata della Val di Cornia venne protetta da mire e pressioni speculative. Sulla base di quelle scelte furono rimosse 2.000 costruzione abusive nel bosco della Sterpaia, dove oggi c’è il parco naturale.
Non mi dilungo. Non è questo lo spazio per una discussione approfondita su temi complessi – ormai parte della storia urbanistica della Val di Cornia. Non mi pare, però, che la stessa tensione ideale e culturale sia riscontrabile nelle più recenti esperienze di pianificazione urbanistica nelle quali, nonostante le solide basi gettate con i piani degli anni 70/80 del secolo scorso, si stenta a trovare un filo conduttore e una chiara strategia di governo del territorio. Non solo non si riesce più a togliere dai piani urbanistici le previsioni che, a distanza di decenni, risultano superate o non più rispondenti ai bisogni attuali, ma riemerge quella visione che tende a considerare la crescita edilizia, di per sé, un indicatore di sviluppo. Lo si è fatto anche a Campiglia nel 2011, con il recente regolamento urbanistico, nonostante i disastri finanziari che la bolla speculativa immobiliare ha prodotto in Italia e in molti paesi occidentali.
Come ben sai ci sono alloggi e capannoni invenduti e inutilizzati (sarebbe opportuno che il Comune facesse una rapida ricognizione), c’è un centro storico che vive solo pochi mesi dell’anno, ci sono zone di Venturina che richiedono urgenti interventi di recupero (come l’indecente zona degli ex magazzini comunali di Via Cerrini). In questo scenario il Comune, per i prossimi 5 anni, non ha saputo fare di meglio che prevedere una nuova zona di espansione di cira 7 ettari con 146 alloggi intorno ai laghetti di Tufaia, di fronte a quello che nei propositi (finora rimasti tali) doveva diventare il parco delle terme di Venturina. Lo stesso possiamo dire per i tanti capannoni previsti ancora alla Monaca, a Campo alla Croce, in Via Cerrini e nei campi delle Lavoriere. Per non parlare degli assurdi meccanismi che prevedono il “decollo” di capannoni dalle campagne e l’”atterraggio” come abitazioni nelle zone di espansione urbana di Venturina.
Come vedi ti parlo di aspetti che riguardano il Regolamento Urbanistico di Campiglia, perché poco o nulla ho da dire sulle strategie unitarie di governo della Val di Cornia, semplicemente perchè non esistono più. San Vincenzo non è mai più stato recuperato ad una visione integrata di governo del territorio (e gli effetti si vedono) ed anche i tre Comuni che hanno elaborato un unico Piano Strutturale nel 2007 oggi procedono in ordine sparso e, come abbiamo dimostrato per Campiglia, spesso travisano i suoi stessi obiettivi strategici.
Mi scuso con te e con chi legge per la lunghezza, ma un’ultima riflessione te la devo. Tu m’inviti a pensare a cosa potrebbe accadere se 2.100 lavoratori della Lucchini dovessero perdere il lavoro. Penso quello che immagino pensi tu, ovvero che sarebbe una tragedia e un aggravamento delle condizioni sociali ed economiche di tutta la Val di Cornia, con effetti di rilevanza regionale e nazionale. Come te sostengo tutte le azioni concrete che tendono a scongiurare questo pericolo. Chi non lo sta facendo? Ma, da tempo, sento che questo non basta più. Sento che è nostro dovere costruire prospettive stabili e durature di lavoro per i nostri giovani, affrancando questi territori dalla dipendenza esclusiva dalla monocoltura siderurgica, oggi più di ieri. In questi decenni non siamo stati fermi, ma la mia opinione è che non tutte le opportunità siano state colte con la necessaria determinazione, coerenza e capacità di governo.
Quando la scuola S.Anna di Pisa richiama le nostre amministrazioni a concentrare i propri sforzi sull’innovazione industriale e anche su agricoltura, parchi e termalismo, dice cose già note da decenni. Dobbiamo chiederci se, per quello che è nelle nostre possibilità, abbiamo fatto tutto quello che era necessario. Io penso di no. Penso che in alcuni casi abbiamo addirittura ridotto le risorse da valorizzare e che i tempi dell’inerzia e delle contraddizioni si stiano drasticamente esaurendo. Non basta più sostenere che stiamo dalla parte del lavoro: la differenza è tra chi s’impegna “solo” nella difesa del poco lavoro che c’è (azione assolutamente meritoria e condivisibile) e chi prova ad immaginare anche nuovi lavori per il futuro. Impegno difficile, ma necessario per amministrare responsabilmente le nostre comunità.
Questa è la differenza sostanziale che non mi fa condividere il governo locale. E’ una diversa visione del futuro e la certezza che i ritardi e le contraddizioni di questi anni li pagheranno i nostri giovani, con meno lavoro.
Massimo Zucconi